Un dubbio che rimane (8)
La sera, prima della cena, accompagno Jennifer a ordinare la pizza. Mentre camminiamo sotto la classica pioggerella irlandese un automobile tampona un motociclista che trasporta proprio le pizze per il negozio dove ci stiamo recando. Mi accorgo dell'incidente solo quanto il motociclista è già a terra. Io e Jennifer ci fermiamo per capire se servono soccorsi, qualcuno è arrivato prima di noi e sta chiamando l'ambulanza. Io, a dir la verità, mi sento un po' in imbarazzo perché non saprei esattamente cosa fare per aiutare il malcapitato, e poi, come dicevo, c'è già chi ha chiamato l'ambulanza. Tuttavia Jennifer rimane ferma qualche minuto per capire: più tardi vengo a sapere che lei fa la fisioterapista. La serata passa così, tra una chiacchiera e l'altra e con Jennifer un po' scioccata dall'incidente.
Quella cena mi dà l'occasione di conversare un po' con i miei compagni di viaggio, di conoscerne altri, alcuni che sono già lì e altri appena arrivati. In questa atmosfera mi sento a mio agio, anche il signore anziano mi sembra molto simpatico. Il giorno successivo faccio colazione con un'altra ospite dell'Arnie's, un'australiana di nome Sonia, un altro tipo sveglio. Anche in quel caso si conversa amabilmente; in più Sonia è in grado di parlare e capire l'italiano, viaggia molto; la nostra conversazione si svolge in inglese, lingua a cui la ragazza è più avvezza. Finita la colazione ognuno va per la sua strada, lei prenderà un bus per la Giant's Causeway un'attrazione naturalistica della costa nordirlandese; io, invece, mi limiterò ad una passeggiata senza mappa, magari nei pressi delle rive del Lagan. Mi piace passeggiare sui lungofiume.
Ripongo la mia macchina fotografica: ho scattato 250 foto circa e, in più, le batterie si stanno scaricando. Passeggio in una zona che non ho battuto e senza mappa. In primo luogo attraverso un piccolo quartiere unionista, in cui i murali celebrano la regina d'inghilterra, ma non ho visto la figura di un solo uomo in mitra. Poco distante c'è un quartere repubblicano, con un cartello pubblicitario scritto prima in gaelico e poi in inglese. Pubblicizza una scuola tradizionale, è l'unico caso, nel Regno Unito, in cui ho visto il nome della città scritto in gaelico: Beal Féairste.
Brevemente arrivo a costeggiare il Lagan, passando per il gazometro, un residuo di archeologia industriale segnalato da un pannello turistico. Il Laganside che ho percorso è davvero un bel posto. Aperto solo al transito dei pedoni o dei ciclisti, paragonabile, forse, alla pista ciclabile sul Tevere, ma più pulito, tenuto meglio; più ricco di vegetazione. La passeggiata è lunga, tanto che ad un certo punto mi rendo conto di essermi perso. Belfast è una città in cui orientarsi non è difficile: mi basta tirare fuori la mappa una volta per tornare sulla strada giusta, anche se farò il giro di Donegall Square, dove si trova la City Hall.
Dopo una breve pausa, torno in ostello e ritiro i miei bagagli, è tempo di partire per tornare a Roma. All'Europa Bus Center trovo l'Airport Express 300 già pronto in banchina. Arrivo con discreto anticipo al Belfast International Airport, ma c'è una fila inattesa. Comincio a temere di non essere in tempo, e poi non ho ancora pranzato. Giusto il tempo di passare davanti al banco del check-in e ritirare la carta di imbarco, e sullo schermo appare una scritta delayed a fianco del mio volo. Partenza ritardata di un'ora. Nonostante questo devo ancora mangiare, passare il varco della sicurezza, perciò non mi sento rassicurato. Faccio tutto di fretta, come se non avessi saputo del ritardo. Tutto sommato non mi pento di questa scelta: mi consentirà di rilassarmi più tardi, e vedere, dal cancello di partenza, un aereo che frena e spegne i motori con il muso di fronte al vetro in cui guardo.
La partenza, alla fine è alle 16.30. Tra un banco di nuvole e uno squarcio di cielo sereno riesco a vedere qualche paesaggio e, finalmente, vedo la cima innevata delle Alpi. E poi vedo sorgere la luna e il tramonto dua una nuova prospettiva, da sopra le nuvole. Siamo in prossimità di Roma e si capisce che pochi minuti prima c'è stato un'acquazzone pesante. L'aereo scende di quota e attraversa una coltre di nuvole piuttosto spessa, vibrando per la turbolenza appena passata. Quando si atterra non piove più ma si vede chiaramente quello che è successo nei minuti precedenti la fase di atterraggio.
E così, si ritorna alle consuetudini, alle cose note, alla vita di tutti i giorni: Al ritorno, porto con me esperienze, ricordi, ma forse, e soprattutto, un dubbio che rimane per la città da cui sono partito, l'ambiguità della voglia di vivere portandosi appresso il pesante fardello della storia, senza volerlo né poterlo rinnegare o nascondere.
Meglio le mani di un artigiano
12 anni fa

Nessun commento:
Posta un commento