sabato, ottobre 04, 2008

Un dubbio che rimane (8)

La sera, prima della cena, accompagno Jennifer a ordinare la pizza. Mentre camminiamo sotto la classica pioggerella irlandese un automobile tampona un motociclista che trasporta proprio le pizze per il negozio dove ci stiamo recando. Mi accorgo dell'incidente solo quanto il motociclista è già a terra. Io e Jennifer ci fermiamo per capire se servono soccorsi, qualcuno è arrivato prima di noi e sta chiamando l'ambulanza. Io, a dir la verità, mi sento un po' in imbarazzo perché non saprei esattamente cosa fare per aiutare il malcapitato, e poi, come dicevo, c'è già chi ha chiamato l'ambulanza. Tuttavia Jennifer rimane ferma qualche minuto per capire: più tardi vengo a sapere che lei fa la fisioterapista. La serata passa così, tra una chiacchiera e l'altra e con Jennifer un po' scioccata dall'incidente.

Quella cena mi dà l'occasione di conversare un po' con i miei compagni di viaggio, di conoscerne altri, alcuni che sono già lì e altri appena arrivati. In questa atmosfera mi sento a mio agio, anche il signore anziano mi sembra molto simpatico. Il giorno successivo faccio colazione con un'altra ospite dell'Arnie's, un'australiana di nome Sonia, un altro tipo sveglio. Anche in quel caso si conversa amabilmente; in più Sonia è in grado di parlare e capire l'italiano, viaggia molto; la nostra conversazione si svolge in inglese, lingua a cui la ragazza è più avvezza. Finita la colazione ognuno va per la sua strada, lei prenderà un bus per la Giant's Causeway un'attrazione naturalistica della costa nordirlandese; io, invece, mi limiterò ad una passeggiata senza mappa, magari nei pressi delle rive del Lagan. Mi piace passeggiare sui lungofiume.
Ripongo la mia macchina fotografica: ho scattato 250 foto circa e, in più, le batterie si stanno scaricando. Passeggio in una zona che non ho battuto e senza mappa. In primo luogo attraverso un piccolo quartiere unionista, in cui i murali celebrano la regina d'inghilterra, ma non ho visto la figura di un solo uomo in mitra. Poco distante c'è un quartere repubblicano, con un cartello pubblicitario scritto prima in gaelico e poi in inglese. Pubblicizza una scuola tradizionale, è l'unico caso, nel Regno Unito, in cui ho visto il nome della città scritto in gaelico: Beal Féairste.

Brevemente arrivo a costeggiare il Lagan, passando per il gazometro, un residuo di archeologia industriale segnalato da un pannello turistico. Il Laganside che ho percorso è davvero un bel posto. Aperto solo al transito dei pedoni o dei ciclisti, paragonabile, forse, alla pista ciclabile sul Tevere, ma più pulito, tenuto meglio; più ricco di vegetazione. La passeggiata è lunga, tanto che ad un certo punto mi rendo conto di essermi perso. Belfast è una città in cui orientarsi non è difficile: mi basta tirare fuori la mappa una volta per tornare sulla strada giusta, anche se farò il giro di Donegall Square, dove si trova la City Hall.

Dopo una breve pausa, torno in ostello e ritiro i miei bagagli, è tempo di partire per tornare a Roma. All'Europa Bus Center trovo l'Airport Express 300 già pronto in banchina. Arrivo con discreto anticipo al Belfast International Airport, ma c'è una fila inattesa. Comincio a temere di non essere in tempo, e poi non ho ancora pranzato. Giusto il tempo di passare davanti al banco del check-in e ritirare la carta di imbarco, e sullo schermo appare una scritta delayed a fianco del mio volo. Partenza ritardata di un'ora. Nonostante questo devo ancora mangiare, passare il varco della sicurezza, perciò non mi sento rassicurato. Faccio tutto di fretta, come se non avessi saputo del ritardo. Tutto sommato non mi pento di questa scelta: mi consentirà di rilassarmi più tardi, e vedere, dal cancello di partenza, un aereo che frena e spegne i motori con il muso di fronte al vetro in cui guardo.

La partenza, alla fine è alle 16.30. Tra un banco di nuvole e uno squarcio di cielo sereno riesco a vedere qualche paesaggio e, finalmente, vedo la cima innevata delle Alpi. E poi vedo sorgere la luna e il tramonto dua una nuova prospettiva, da sopra le nuvole. Siamo in prossimità di Roma e si capisce che pochi minuti prima c'è stato un'acquazzone pesante. L'aereo scende di quota e attraversa una coltre di nuvole piuttosto spessa, vibrando per la turbolenza appena passata. Quando si atterra non piove più ma si vede chiaramente quello che è successo nei minuti precedenti la fase di atterraggio.

E così, si ritorna alle consuetudini, alle cose note, alla vita di tutti i giorni: Al ritorno, porto con me esperienze, ricordi, ma forse, e soprattutto, un dubbio che rimane per la città da cui sono partito, l'ambiguità della voglia di vivere portandosi appresso il pesante fardello della storia, senza volerlo né poterlo rinnegare o nascondere.

venerdì, ottobre 03, 2008

Un dubbio che rimane (7)

Domenica 14 settembre è un giorno particolare. Intanto perché, in inglese, è il giorno del sole (Sunday), ma il sole si vede solo a squarci, è la classica giornata irlandese. E poi perché proprio di domenica mi aspetta un tour nella parte più dura di Belfast, in particolare il quartiere di Shankill Road. E' un giorno segnato dalla musica che ho in testa. Vero le 10.00 di mattina salgo sul bus turistico, prime tappe centrali: il Cathedral quarter, la Custom House, l'Albert Clock. Si prosegue poi sulle rive del Lagan, e con passaggio nel Titanic quarter, un cantiere a cielo aperto al cui centro ci sono i cantieri navali H & W che costruirono il transatlantico famoso per il suo tragico viaggio inaugurale. Trovo buffo che qui ci siano manifesti orgogliosi di aver fabbricato quell'imbarcazione. Titanic: made in Belfast. La guida fa un paio di battute sul fatto che, nonostante l'impegno profuso nella progettazione e nella costruzione, l'imbarcazione sia affondata. Purtroppo la mia conoscenza dell'inglese è tale che non riesco a colgiere cosa dica la guida, capisco che si tratta di una battuta dall'espressione del volto della guida e dalla reazione di altri turisti. Il quartiere, dicevo, è un pullulare di cantieri edilizi in vista del 2012, anno in cui ricorre il centenario. In quell'occasione, ovviamente, con quelle bandiere e quei manifesti Titanic 2012 o Titanic: made in Belfast mi veniva in mente un vecchio De Gregori: la prima classe costa mille lire, la seconda cento, la terza dolore e spavento...

La tappa successiva è il castello di Stormont, poco fuori dal centro abitato, attuale sede del parlamento nordirlandese. La strtada passa davanti al porto di Belfast e anche al secondo aeroporto, il George Best Belfast City Airport. Sembra uno scalo di provincia, e si vede che è di recente costruzione. Da una prima occhiata, sono i voli low-cost che fanno scalo qui. In breve si arriva a Stormont. Il castello è posto in una sorta di collinetta, in mezzo ad un parco, davvero un bel posto. Tra l'autista del bus e la guardia all'entrata del parco c'è uno scambio di battute. Mi piacerebbe scendere qui ma poi dovrei aspettare il bus successivo, e, sapendo che ne passano fino alle 14.00, scelgo di rimanere seduto e tornare al centro.

Si passa rapidamente al Laganside, con il S. George's market, di epoca vittoriana. In una fermata noto di sfuggita il murale di Donegall Street che tornerò a fotografare. Intanto, già dal castello di Stormont la colonna sonora che ronza nel cervello è cambiata: Sunday, bloody sunday degli U2. Ci si avvicina alla parte dura della città. La guida e il conducente del bus si scambiano battute, mi sembra di capire che il secondo parli (ironicamente) come se non avesse voglia di accedere al quartiere unionista. Decido di scendere proprio lì.

La zona è desolata, è pieno giorno. Ci sono decine e decine di bandierine del Regno Unito che attraversano la strada stese su fili, e molti murales raffigurano uomini in passamontagna armati di mitra. Si vede spesso anche la bandiera dell'Ulster con la mano rossa, e nei murales questo simbolo è spesso accompagnato dalla sigla UVF, Ulster Volunteer Force. Nei murales si ricordano il reggimento caduto in battaglia nel corso della prima guerra mondiale, oppure si omaggia la regina madre, o il regno unito. L'aria che si respira è molto tesa, ci si sente come se ci si volesse difendere da qualcuno. C'è un parco che commemora i caduti dell'Uvf, e poi c'è un murale agghiacciante, che ritrae un bambino ferito, con una scritta che lascia intendere che i genitori sono stati uccisi da una bomba o da un attentato repubblicano. Passeggio un po' per la strada e osservo, ma in giro non c'è quasi nessuno e mi sento un po' a disagio. Decido di aspettare il bus successivo e tornare verso il centro anche per mangiare. Nel tragitto passiamo per la peace line, il muro che separa le due comunità. Anche in questa parte ci sono murali. Passiamo anche per Falls Road, il quartiere repubblicano e si vede subito. In primis appaiono le scritte anche in gaelico, in alcuni casi viene utilizzata solo questa lingua. Su un edificio campeggia la bandiera della Repubblica. Sembra quasi di aver passato di nuovo il confine.

In breve si torna al centro. Dopo la pausa pranzo, mi reco a piedi a Falls Road. Forse mi sono sentito rassicurato dai murales anti- Bush, o dal sorriso di Bobby Sands dipinto dul muro della sede dello Sinn Féin, perciò torno a piedi e fotografo ancora. Anche qui c'è un parco commemorativo dei caduti repubblicani, ma si respira un'aria un po' diversa. Non ho visto un solo murale contro l'Uvf, mentre a Shankill c'era qualche segnale anti-repubblicano e anti- IRA. Poi, certo, la situazione reale, lo si capisce, dev'essere molto più complessa di quella che si vede dai murali. Però ci sarà un motivo per cui ho percepito un'aria più distesa tra Springfield Road e Falls Road, che non a Shankill Road e dintorni.

Una volta finito il tour, passeggiando, torno alla City Hall con la sua ruota panoramica e mi rendo conto di quanto questa città sia ambigua, ma non è ipocrita, perché non vuole né può nascondere la propria storia (per molti versi difficile), semmai cerca di conviverci con il massimo di leggerezza ed ironia possibile. La mia visita in Irlanda volge alla fine. Di sera torno in ostello, converso amabilmente con Jennifer, decido di cenare con lei e le altre ragazze. Suono un po' la chitarra, e dentro di me comincia a risuonare l'eco di quelle parole che mi avevano accompagnato a Fiumicino: ma cos'è questo strano rumore di piazza lontana? Sarà, forse, tenerezza o un dubbio che rimane? e comincio a pensare che Belfast mi lascia proprio questa sensazione, quella del dubbio che rimane.... Chissà, forse c'è anche un po' di malinconia nel sapere che il giorno successivo si parte per tornare a Roma e alle consuetudini.

martedì, settembre 30, 2008

Un dubbio che rimane (6)

La sera prima di partire controllo l'itinerario che mi porterà dall'Europa Bus Center all'ostello. La mattina mi alzo presto e riesco a prepararmi la colazione con ciò che trovo nella cucina dell'Isaacs Hostel di Dublino. Giusto il tempo per conversare con una coppia Canadese e ricordarsi che pompelmo, in inglese, si dice grapefruit che io ricordavo fosse l'uva (grape). Dopo un breve relax prendo il bus per Belfast. Il viaggio dura un paio d'ore. Ci si accorge del passagio del confine tra Repubblica e Regno Unito: cambia il sistema di misurazione (le distanze sono indicate in yards e non in metri), sparisce la doppia denominazione delle destinazioni, in inglese e in gaelico. Nei cartelli in Eire sotto la scritta Belfast c'è sempre Beal Féairste, la dicitura in gaelico. Si entra nel Regno Unito e questa scritta non si vede più. In compenso appaiono i cartelloni pubblicitari delle chiese presbiteriane (che ci sono anche in Eire, ma non espongono cartelli all'esterno).

La prima città che incontriamo nel viaggio è Newry, presso cui il bus fa una fermata abbastanza rapida. Sembra un posto gradevole. Arrivo a Belfast verso l'ora di pranzo. Il tempo per posare il bagaglio al mio ostello, saldare il conto (dopo aver cambiato valuta, €100 per £73.10), mangiare e fare una prima passeggiata. Un concentrato di sensazioni in poche righe e in poco tempo. Primo: è il primo giorno, da quando sono in Irlanda, che non cade una goccia di pioggia. Sono partito col sole e anche a Belfast mi accoglie il sole e un tepore che mi ricorda Roma (complice l'orario). Secondo: Arnie's Backpackers, l'ostello che mi ospita, è praticamente un appartamento: mi danno una chiave che apre non la stanza, ma la porta principale dello stabile. In una stanza comunitaria ci sono un televisore con un lettore dvd, un vecchio pianoforte e, in un angolo, una chitarra classica che più tardi accorderò. Terzo: l'impatto con Belfast è il migliore in assoluto.

Trovo un posto per mangiare e mangio molto bene per un prezzo contenuto, in un locale in cui passa musica jazz; le mie prime passeggiate mi portano al quartiere universitario e all'orto botanico, luoghi vicini al mio ostello, ma molto belli da visitare. Tra l'altro la struttura urbanistica mi sembra molto semplice, riesco ad orientarmi bene.

Tra una cosa e l'altra mi organizzo per prendere il bus turistico (il giorno successivo) che mi porterà ai quartieri duri di Belfast. La sera salgo nella mia stanza e scopro che i miei due compagni sono una ragazza (di cui scoprirò il nome il giorno successivo, Jennifer), e un signore anziano. La prima notte passa tutto sommato tranquilla, se non fosse per il fatto che il signore si alza dal letto due o tre volte e che io per un'oretta ero in dormiveglia con la luce accesa e Jennifer che leggeva.

domenica, settembre 28, 2008

Un dubbio che rimane (5)

Questo racconto sta diventando più lungo di quello che pensassi, ma proseguiamo. Dopo l'impatto brusco, mi adatto al clima vivace e caotico di Dublino, che comincio ad apprezzare. L'immagine che rimane di questa città, è, però, quella di una capitale condizionata in tutto e per tutto dal turismo di massa. La stanza dove dormo in ostello, composta da sei letti, ospita ben quattro italiani (me compreso) e un marsigliese.

La cosa buffa accade la prima sera, dopo il mio rientro in stanza per coricarmi. Avevo già tolto i miei occhiali ed ero in una fase di veglia rilassata, quella che precede il sonno per intenderci. Entrano due ragazzi e una ragazza e salutano con il più classico degli "Hi". Mi presento: "Hi, I'm David". Ho anglicizzato il mio nome (anche nella pronuncia) perché penso che per uno straniero sia più facile pronunciare "David" che non "Davide". Loro, invece, si presentano in italiano: "Hi, I'm Andrea, she's my sister, Claudia, and he's my cousin". Beh, la prima cosa che mi viene in mente è chiedergli, in inglese, siete italiani? Loro rispondono sì. A quel punto, per gioco, faccio finta di non essere italiano anche io, e per quella sera parlo loro solo in inglese ("is there something troubling?"). Tutto sommato sono andato all'estero anche per incontrare e parlare con persone straniere, perciò incontrare altri italiani smonta un po' questa idea. La mattina dopo decido che il gioco deve finire. Saluto la ragazza con un bel "buongiorno", quanto basta per farle capire che lingua parlo. E invece, la risposta è educata ("buongiorno") ma dopo c'è il silenzio. Aspetto un po' e poi rivelo il gioco.

Dublino ha diverse cose interessanti, il S.Stephen's Green, la Christ Church Cathedral, il Writers' museum... senza contare la vivacità del quartiere di Temple Bar, dove si trova sempre un musicista di strada. La musica è coltivata molto bene in Irlanda, e Dublino è capitale anche in questo. Se, girando per Cork, avevo trovato due bei negozi di strumenti musicali, a Dublino ne trovo uno a dir poco splendido, enorme. Figurarsi che in vetrina espone arpe celtiche (e questo uno poteva aspettarselo) ma anche un contrabbasso, una batteria... Quando in genere i nostri negozi di musica espongono chitarre, tastiere, strumenti un po' più 'tradizionali'. Il negozio è veramente immenso ed ha una varietà di strumenti (compresi pianoforti a coda) immensa. E' praticamente impossibile che io esca da un negozio di quel genere senza aver comprato nulla. Infatti, ne esco con un Irish tin whistle (un flauto tradizionale irlandese) da regalare a mio cognato, e una armonica a bocca in do con un libello per imparare e le prime partiture.

Se non fosse "rovinata" dal turismo esasperato, che rende i prezzi alti e la città frenetica in un modo che non mi aspettavo, Dublino sarebbe una degna capitale europea, il cui unico vero handicap è quello dei trasporti pubblici, con due linee LUAS che neanche s'incontrano. Certo, ci sono gli autobus, ma il caos è veramente ai livelli di Roma, con l'aggravante che Dublino è molto più piccola, e, tutto sommato (se non si è stanchi) percorribile bene a piedi e in bicicletta (le piste ciclabili sono ovunque, e c'è anche una segnaletica adeguata, con semafori appositi. Infatti c'è anche un buon traffico ciclistico).

Alla fine della mia permanenza, se dovessi scegliere una canzone per rappresentare Dublino, sarebbe Sultans of swing dei Dire Straits, mentre per Cork avrei più difficoltà a scegliere una canzone - simbolo... Forse potrebbe essere Just my imagination dei Cranberries.

sabato, settembre 27, 2008

Un dubbio che rimane (4)

Cork mi è piaciuta molto, anche se ho avuto problemi di orientamento nel percorrere a piedi le strade. Le mappe che avevo non riportavano i nomi di tutte le strade, perciò almeno una volta al giorno facevo un tragitto lunghissimo per arrivare in un posto vicino. Sarà anche per questo che non sono riuscito a vedere la Red Tower, e non ho avuto occasione di assaggiare almeno la Murphy's o la Beamish.

Julien, il mio compagno di stanza belga, è gentile e socievole. Una sera mi fa usare il suo portatile per telefonare - con la mia utenza Skype - a mia sorella. Inoltre, il 10 settembre entrambi dobbiamo andare a Dublino, perciò ci mettiamo d'accordo. Ci diamo un appuntamento e prenderemo il bus insieme. Ho ancora il suo numero telefonico in rubrica, magari gli manderò un sms di saluto. La mattina del 10 settembre esco per una breve passeggiata. Subito dopo torno all'ostello e, presi tutti i bagagli, io e Julien andiamo a Parnell Place a prendere il bus delle 10.

Per fortuna abbiamo deciso di partire a quell'ora e non più tardi. Il viaggio verso Dublino è lungo. Verso le 12/12.30 ci sarà una sosta presso un'area di servizio, per mangiare, sgranchirsi un po' le gambe, e soddisfare altre necessità. Arriviamo a Dublino, Busàras verso le 14.40. Sapendo che fra qualche giorno mi aspetta Belfast, ne approfitto per prendere un volantino con la tabella degli orari per quella destinazione. Con Julien ci salutiamo cordialmente, see you later, ma di fatto ognuno andrà per la sua strada.

Il mio ostello è a due passi dalla stazione dei bus, mentre Julien dovrà prendere la LUAS o camminare un po'. Dublino si rivela subito nella sua caoticità estrema di città turistica. L'ostello pullula di persone, molti usano i pc portatili sfruttando la connessione wi-fi gratuita, io resto in attesa di poter fare il check-in per poter posare il mio borsone in una stanza e ripartire. Intanto la radio passa musica rock, ma ad un certo punto riconosco l'inconfondibile voce di Carmen Consoli che canta di na persona che biascica un malinconico Modugno.

Posato il mio bagaglio esco e vado subito al Dublin Tourism Centre in Suffolk street. Prima sorpresa: la ragazza allo sportello mi dice subito "sei italiano?". Chissà da dove avrà capito la mia provenienza. Secondo: l'ufficio turistico di Dublino è un bell'edificio, è una vecchia chiesa; anche lo spazio all'interno è grande, e non manca un negozio di souvenir, naturalmente. Poco distante dal centro turistico dove ritiro il mio Dublin Pass, c'è il Trinity College. Devo dire che non mi entusiasma. Sarà per il fatto che ho visto il College di Cork ed è tutta un'altra cosa: su una collinetta, edifici che sembrano case che spuntano tra alberi e parchetti... Per fare un paragone con Roma sembrava quasi di passeggiare a Villa Pamphili e, ogni tanto, trovare edifici o piazzette dove ci si si può incontrare, luoghi dove si può studiare in solitudine o in compagnia...

Il Trinity College ha una struttura diversa. Gli edifici non sono molto alti, ma il disegno architettonico mi ricorda quello razionalista che caratterizza la Città Universitaria di Roma. L'impianto è sicuramente più sobrio e meno retorico, però quella struttura risulta "quadrata", e meno piacevole di quella vista a Cork.

La mia prima (mezza) giornata a Dublino la passo a maledire la città: mi accoglie il caos su O'Connell street, il via vai frenetico delle persone, i semafori pedonali che non scattano mai, il suono delle ambulanze (ne ho sentita almeno una al giorno) e, come se non bastasse, dalla mia stanza si sente chiaro il rumore della DART, il cui ponte ferroviario passa proprio sopra le nostre teste.

martedì, settembre 23, 2008

Un dubbio che rimane (3)

Cork è una città piccola, ma molto gradevole e per certi versi sorprendente. Non mi aspettavo, ad esempio, che il centro (zona S. Patrick's street, Merchant's quay, etc.) fosse caotica, con un traffico automobilistico - lungo i quay - che mi ha ricordato da vicino i lungotevere; aggiungiamo a questo il fatto che i semafori pedonali, in Irlanda (e su questo l'isola è unita) durano poco meno di 30 secondi, e consentono l'attraversamento solo con un passo spedito. Se sei munito di bastone, è finita. Beh, col tempo ho imparato che i semafori pedonali si possono prendere con "beneficio d'inventario" (l'alternativa è attendere che scatti il verde per qualche minuto, tenendo conto che il semaforo cambierà colore in 30 secondi...), facendo la dovuta attenzione.

Ad un centro cittadino caotico e vivace (pieno di negozi e catene tipo Burger King etc. etc.) si affianca una zona "periferica" in cui il traffico è molto poco, è più facile trovare edifici di stampo tradizionale, non si trovano grosse catene commerciali, mentre si trovano pub tradizionali o locali del genere.

Uno dei posti che mi ha colpito, visitandolo è la Cork City Gaol, la prigione storica dove spesso sono stati recluse persone solo perché disagiate, povere, "ladri di polli", a volte sottoposti a pene assurde.

Tra una cosa e l'altra mi rendo conto di aver sopravvalutato la mia padronanza dell'inglese. Mi rendo conto di essere un po' come un vecchio motore diesel arrugginito, e che avrei bisogno di maggiore esercizio, sia nell'ascolto che, soprattutto, nel parlare. Ma pazienza.

Con i miei compagni di stanza, Lazarus (greco) e Julien (belga) c'intendiamo bene, siamo usciti insieme e abbiamo cenato. Con Julien ho preso il bus per Dublino da Parnell Place il 10 settembre. Anche lui si recava lì.

Alloggiavamo in un ostello non distante dalla S.Patrick's hill. La salita per arrivare in cima è un po' faticosa, ma vale la pena. Dall'alto si gode un notevole panorama di Cork.

Un'altra curiosità è che a Cork trovare la Guinness è possibile, ma sarebbe un gesto di enorme scortesia chiedere una pinta quando tutti i pub ti propongono le stout locali, Murphy's e Beamish. Non sono riuscito ad assaggiare nessuna delle due. In compenso ho fatto la cura del tè. Prendevo tè anche a pasto per paura che mi portassero l'acqua solo in bottiglia. Ero entrato nell'ordine delle idee di pagare l'acqua minerale, magari 2€. Beh, ho visto che il tè costava 2€, pensavo, perché non prendere il tè?

Metti un tè a colazione (perché non ho coraggio di assaggiare un caffè non italiano), un tè a pranzo e uno a cena....

Altro posto da vedere nei dintorni di Cork è il Blarney Castle. Certo, è un posto su cui ci sono anche speculazioni ad uso turistico, come la Blarney Stone. Se baci la pietra, dicono, avrai in cambio l'eloquenza. Di certo c'è il fotografo che ti aspetta e ti farà vedere l'immagine, pronta per essere acquistata al chiosco dei souvenir. Però vale la pena di visitare il posto. Il castello è praticamente circondato dal bosco, e poi c'è la Rock closed, un percorso in cui si trova un dolmen, dei wishing steps, tutto in mezzo al bosco... Tutto ciò senza contare il poanorama che si gode dall'alto del castello: di un verde sfolgorante come non l'avevo mai visto.

domenica, settembre 21, 2008

Un dubbio che rimane (2)

Innanzi tutto il mio aereo doveva partire alle 8.30 di sera. Alle 18.10 passa mio cognato a prendermi e arriva la prima sopresa: traffico intenso verso Roma, sulla Pontina ma anche sulla Laurentina. Evidentemente tutti i vacanzieri avevano deciso di rientrare proprio quel giorno. Si cammina a passo d'uomo, fa caldo e la radio, tra le altre, passa "Modena" di Venditti. Ma cos'è questo strano rumore di piazza lontana? Sarà forse tenerezza, o un dubbio che rimane...

Ma non c'è tempo per i dubbi, non ora. Arriviamo all'aeroporto verso le 8.00 (o pochi minuti prima), io sono trafelato. Devo fare ancora il check-in e la carta d'imbarco, credo di esere arrivato giusto in tempo. Entro, mi affretto e scopro che la partenza è ritardata: il volo partirà alle 22.30 (!!!). Come se non bastasse, tutta la mia strategia per il bagaglio a mano fallisce: per poter essere trasportata in cabina, la mia borsa non dovrebbe pesare oltre i 6 kg, e la bilancia ne indica 8.6. Mettici lo zaino vuoto, la macchina fotografica con pile e caricabatterie, il k-way per la pioggia, delle magliette e pantaloni di ricambio... Va tutto nella stiva, con le sue belle etichette. E va afarsi benedire anche il pensiero di non avere la preoccupazione di aspettare il bagaglio al nastro, che poi chissà quanto tempo, sempre che non lo freghi qualcuno.... Ma pazienza, è andata così, bisogna farsene una ragione.

Così, nell'attesa, leggo un bel po' di un libro che avevo lasciato in sospeso, sempre con un minimo d'ansia per non perdere l'aereo. Ad un certo punto rompo gli indugi e vado verso gli imbarchi, la mia uscita è la C9. Tutto sommato, la partenza è normale, non subisce ulteriori dilazioni rispetto a quelle già annunciate. Solo, avevo previsto di poter prendere un bus dall'aerostazione di Cork all'ostello, ma atterrerò troppo tardi.

Non avevo mai visto un aeroporto così "familiare". Scendo dalle scalette come vedo fare solo in tv. Sono le 1.30 della notte, ora locale (le 2.30 in Italia). Vista la mala parata, prometto a me stesso che la prossima volta prenderò un volo di mattina, ma mai più di notte. Prendo un taxi e subito salgo sul sedile posteriore destro. Davanti a me ho il taxista con i suoi comandi. Penso che guidare tenendo la sinistra non sia poi così diverso e, remotamente, penso che non andrei in confusione. Però fa un effetto strano vedere il volante posizionato là dove da noi c'è un passeggero. E mi chiedo perché, per chi guida a destra, il volante è a sinistra e viceversa. Credo sia una questione di visibilità dallo specchietto centrale.

In breve il taxi mi porta all'ostello, è quasi al centro di Cork e non è molto distante dall'aerostazione. Pago il mio viaggio, ritiro il bagaglio, entro. Esibisco la mia prenotazione e la mia carta d'identità, e, dopo aver pagato, entro in stanza, la n. 108. Posso scegliere un letto qualsiasi, mi dicono. Peccato che due letti su quattro siano già occupati. Ho il problema di entrare, aprire il borsone e cambiarmi, e fare tutto questo senza svegliare i miei compagni distanza. Sono le 2 della notte, ricordiamolo. Tutto sommato credo di essermela cavata. Però prometto a me stesso: la prossima volta non viaggerò di notte.

sabato, settembre 20, 2008

Un dubbio che rimane (1)

La parola vacanze, stranamente, non evoca in me il piacere e la rilassatezza. Forse perché, come avviene per altri aspetti della mia esistenza, non mi concedo spesso questo piacere, cerco di fare sempre attenzione al tempo che spendo. Forse è in questo che va cercata la ragione per cui se parto, preferisco farlo di settembre - o - comuinque - in un periodo che ritengo migliore perché meno affollato. Aggiungiamo a questo un po' di sana(?) vanità che consiste nel presentarsi, agli altri, come colui che - come il barcarolo romano di Romolo Balzani - sceglie appositamente di andare in vacanza quando tutti tornano perché "er barcarolo va controcorente"e mi piace così.

E' così che decido di partire a setembre, e per l'Irlanda che tutti dicono verde. Anche stavolta ho scelto un volo che parte di sera, atterrerò di notte a Cork ma non fa niente. Ho già previsto tre tappe: Cork, Dublino, Belfast, e altrettanti ostelli nelle tre città.

Nella mia preparazione c'è un metodo scientifico, quasi come quello di Gassmann ne "I soliti ignoti". Talmente scientifico che metto tutto il mio bagaglio nel mio borsone, sicuro del fatto che passerà come bagaglio a mano (il borsone non ingombra molto); ho già previsto anche l'autobus che mi porterà dall'aeroscalo all'ostello, ho prenotato anche il biglietto su internet.

Che dire? L'entusiasmo mi ha fatto fare progetti, calcoli, ma anche programmi più vaghi, idee, sogni... D'altra parte, come dice il buon De Gregori,
Dietro a un miraggio c'è sempre un miraggio da considerare, come del resto alla fine di un viaggio c'è sempre un viaggio da ricominciare. Ecco, il mio viaggio è partito così, come un grande miraggio in cui non sapevo neanche quanto credere. Ma le sorprese son tutte da scoprire

sabato, giugno 21, 2008

Le parole più ricorrenti in questo blog (ultimi post)

Il ritorno del caimano

Con l'attacco alla magistratura, la ricusazione del giudice e l'attacco a Veltroni finisce (definitivamente ?) il "clima nuovo". Ma è proprio vero che c'era un clima nuovo? Sì, Berlusconi non parla più di comunisti da prima della tornata elettorale ma, a parte questo, mi pare che non abbia mai perso tempo ad occuparsi delle cose che più gli stanno a cuore: i processi a suo carico e Rete4. Forse Veltroni, e con lui Scalfari, si erano illusi che fosse possibile un confronto civile con l'attuale premier, perché sta avanzando di età, perché punta al Quirinale, e così via.

A proposito, a me sembra che la linea del PD sia dettata dagli editoriali di Scalfari su Repubblica. Sarà un caso che Veltroni ha cominciato ad attaccare il premier un po' più duramente pochi giorni dopo, per l'appunto, un editoriale del fondatore di Repubblica? Ora: i giornali e i mezzi di comunicazione di massa, in generale, sono strumenti che influenzano (e in molti casi formano, creano, manipolano) l'opinione pubblica e il consenso. Non è strano che possano influenzare un partito. Il problema è che questo partito mi sembra abbia seguito le indicazioni del fondatore di un giornale senza che ci sia stato un dibattito. Il che, secondo me, la dice lunga sulla crisi d'identità del partito stesso. Se il partito è forte, infatti, è in grado d'influenzare le posizioni di un giornale, o quantomeno non sembra subirle passivamente o aspettarle, non manca d'iniziativa.

Dopo gli ultimi avvenimenti forse Veltroni s'è svegliato e si è accorto che, per l'ennesima volta, il cavaliere bluffava. Non appena si è presentata la "problematica" dei processi, ha scoperto le carte, è più forte di lui. Rimane il nodo delle riforme, eternamente irrisolto. Forse occorrerà attendere che il cavaliere lasci l'impegno politico...

In tutto questo il paese rimarrà tragicamente indietro, in settori come l'energia (dove nessuno investe più sul nucleare, tanto meno di terza generazione, perché è vecchio e perché l'uranio si esaurisce come il carbone ed il petrolio), i trasporti, le infrastrutture, ma, soprattutto, sarà la struttura sociale del paese, già fortemente indebolita e disgregata, ad essere completamente desertificata, grazie anche al fatto che chi è al governo farà di tutto (e già lo sta facendo) per uscire dall'Europa e dall'Euro.

Non temete: finché c'è Grillo che grida - come già fece tale Gabriele D'Annunzio - contro "la casta", c'è speranza che questo paese torni ad essere civile. Certo, come quella volta, fu l'esito delle grida D'Annunziane contro Giolitti "Cagoia" (e Giolitti non era Quintino Sella né Francesco Crispi). Come? Quale fu l'esito? Un ventennio in cui non si parlò più di deputati e senatori... Come? Il delitto Matteotti? Va bè, ma hanno liquidato "la casta", no?

mercoledì, maggio 14, 2008

La nuova stagione

Il governo Berlusconi si è insediato, Alemanno è sindaco di Roma, mentre il paese è percorso da un sentimento intollerante contro gli immigrati (in particolare rom) su cui mi aspettavo qualche critica "da sinistra", è nato anche il governo-ombra del Pd, sembra che il clima politico sia cambiato.

Berlusconi si rende conto che, probabilmente, è alla sua ultima prova da capo del governo, perciò, a mio parere, vuole utilizzare questo periodo per puntare al Quirinale. Per far questo deve dotarsi di un profilo credibile, almeno dal punto di vista istituzionale. Fino a qui la strategia di Berlusconi, comprensibile e chiara.

Quello che mi sfugge è il senso della strategia di Veltroni. Che tra maggioranza e opposizione ci debba essere dialogo, quantomeno sulle riforme, è giusto; mi sembra, però, di vedere un atteggiamento troppo passivo da parte dell'ex sindaco di Roma. Mi sembra che, per preservare il dialogo taccia o abbia taciuto alcune cose su cui, invece, a mio parere, si potevano e si dovevano esprimere delle critiche. Non vorrei che il Pd facesse un'opposizione "annacquata", ammesso che di opposizione si tratti.

Il rischio è di rendere più credibile Di Pietro e tutti coloro che hanno una visione della politica che, secondo me, tende alla demagogia: facile bacino di consensi, che però non si traducono mai in soluzioni proposte, in mediazioni, ma sempre in slogan fatti di principi astratti da "anime belle".

Non che sia obbligatorio essere maggioranza, anzi. E' che si vorrebbe quantomeno contribuire a cambiare qualcosa, anche in piccolo. E per far questo bisogna quantomeno essere disposti a discutere con gli avversari, disposti magari a rinunciare ad un principio astratto "bello" in nome di un risultato che si considera il migliore ottenibile in quelle circostanze in un determinato settore.

Il periodo che ci attende è forse uno dei più cupi in assoluto, non tanto perché governa Berlusconi e lì rimarrà per 5 o 10 anni, ma perché non vedo un progetto chiaro in quello che vorrebbe candidarsi ad essere il più grande partito "riformista" italiano, il PD.

Nel frattempo, c'è da aggiungere, la sinistra è fuori dal Parlamento. Personalmente spero che venga eletto a segretario Nichi Vendola, mi sembra l'uomo giusto per rinnovare una tradizione politica che - secondo me - non può scomparire e che dovrebbe puntare a spostare l'asse politico del PD, e renderne più incisivo il progetto e l'azione politica.

venerdì, aprile 18, 2008


Il passato recente, il presente ed il futuro del PD



E così, cinque anni dopo aver mandato Rutelli a perdere contro Berlusconi, è il turno di Uòlter. Sul risultato c'è poco da commentare. Il fatto che la sinistra radicale e i socialisti siano scomparsi dal parlamento è più imputabile ai ritardi loro che non alla scelta di Veltroni di non aggregarsi con l'area sinistra della coalizione. A questo punto, vista la mala parata, si pongono alcuni problemi interessanti:

1)il dialogo del PD con la sinistra. Dovrà esserci una forma di dialogo e di ripresa dei rapporti a sinistra, anche per non fare del PD un partito troppo neocentrista;

2)il rapporto con Di Pietro: si scioglierà nel PD? Oppure vuole solo "battere cassa" visto che ha più che raddoppiato i consensi, rischiando di dare all'alleanza gli stessi problemi (in direzione uguale e contraria) che a volte ha dato l'ala sinistra della ex Unione?

Da come veranno affrontate queste situazioni deipende il futuro della leadershipo di Uòlter, buona parte di quello del PD, e direi anche quello del paese. Perché se il paese ha deciso, nettamente e chiaramente, di andare a destra è perché (a mio parere) dall'altra parte sono arrivate speso risposte ambigue e contraddittorie. Il PD dovrebbe proprio ripartire da un tentativo di armonizzazione e composizione delle contraddizioni. Credo che Veltroni abbia ancora la possibilità di fare molto, in questo senso. Certo è che, se sarà sprecata, la prossima volta dovremo realmente affidarci a Napo orso capo.

venerdì, marzo 07, 2008

La guerra silenziosa

Nell'ultimo periodo la cronaca ha parlato dei morti e della sicurezza sul lavoro, soprattutto in occasione di incidenti di gravità inaudita, come il rogo della ThyssenKrupp, l'operaio morto a Genova e quelli che sono morti in modo terribile in una cisterna. Molte e ancora di più sono le persone che lasciano le loro vite, spesso giovani, al lavoro, senza che nessuno ne parli. Pensiamo ad operai del settore edile, per esempio.

Nell'arco di un anno solare il numero di coloro che hanno perso la vita in questo modo è raccapricciante; sembra davvero di leggere il bolletino di una guerra silenziosa, combattuta, cioè, senza armi da fuoco, ma con mezzi molto più pericolosi, per certi versi: mancata manutenzione, mancato rispetto delle più elementari norme a tutela della salute e sicurezza, mancato rispetto della vita umana, spesso sostituita da un più bieco interesse verso la produzione a basso costo, la riduzione della spesa, di qualsiasi spesa: da quella per la formazione e l'aggiornamento continuo dei lavoratori (sul rischio e sulle precauzioni), a quella per le strutture di sicurezza, a quella per la manutenzione. Perchè un impianto inizialmente sicuro va sottoposto a revisioni, altrimenti col tempo diventa pericoloso...

Ora il governo in prorogatio ha approvato un decreto attuativo (che credo non avrà problemi a passare in parlamento), ma credo che gli industriali dovrebbero farsi almeno un esame di coscienza, a partire da quelli che Veltroni ha canditato nel PD.

martedì, febbraio 12, 2008

Chi insegue chi?

E' iniziata la campagna elettorale. Abbiamo già visto come, in realtà, Veltroni stia adottando uno stile identico a quello di Berlusconi, solo un po' più politically correct. D'altra parte il personaggio è uomo di televisione, di cinema, della Notte Bianca. E' un politico abile, sicuramente, almeno nella gestione del linguaggio. E' il peggior avversario che potesse capitare a Berlusconi. Perché la retorica di Veltroni è pacata, quasi "argomentata"; con questo avversario Berlusconi non può usare più gli slogan a lui tanto cari: "i comunisti... la sinistra", etc. etc. Questo, allo stesso tempo è un bene e un male. E' un bene perché, personalmente, non ne potevo più di sentire slogan che somigliano molto a "i comunisti mangiano i bambini". Slogan fuori tempo massimo, fuori dalla realtà, a mio parere.

E' un male perché non ho ancora ben compreso se l'identità di Veltroni è qualcosa che si avvicina (in maniera molto pallida e timida) a ciò che un tempo si chiamava socialdemocrazia, oppure è uno scimmiottare Berlusconi, una sorta di "Berlusconismo dal volto umano". Purtroppo ho paura che alla fine sarà vera solo la seconda affermazione.


Chi insegue chi, allora? Berlusconi che insegue Veltroni (che col Partito Democratico sta cercando di dare una scossa al sistema politico italiano) o viceversa? Secondo me è Veltroni che ha inseguito e superato il cavaliere, uno strano sorpasso al centro, direi...

mercoledì, gennaio 30, 2008

Crisi di Governo

Qualche giorno fa si è aperta ufficiamente la crisi del governo Prodi. Per la prima volta in 60 anni, questo passaggio è stato scandito dalla fiducia, votata prima alla Camera dei Deputati, e successivamente al Senato della Repubblica. Dunque, il governo non ha avuto la fiducia del Senato. La prassi precedentemente era stata quella delle crisi extraparlamentari; il governo si dimetteva senza presentarsi alle camere. Per diversi motivi credo che Prodi abbia fatto bene a chiedere il voto di fiducia, anche per il semplice fatto che la Costituzione lo prescrive.

Quello che più mi interessa, però, è capire quali prospettive si aprano a questo punto. Credo che un governo istituzionale sia necessario, per riformare la legge elettorale (che tutti avevano dichiarato essere orrenda), ma anche per affrontare le emergenze più gravi. Sarà molto difficile che questo si realizzi. Vedo, molto più probabilmente, un ricorso anticipato alle elezioni, che secondo me rischiano di aprire un periodo buio (non solo per chi probabilmente governerà), ma anche perché non vedo possibilità di uscita da questa impasse politica e istituzionale. Spero di sbagliare

sabato, gennaio 05, 2008


L' Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro

Chi non conosce l'articolo 1 della Costituzione? Con il primo gennaio la nostra carta, lo ha detto anche Napolitano, compie 60 anni dalla promulgazione. Ci sono diverse statuizioni ideali che nella realtà non trovano applicazione, ma al di là di questo, oggi mi piace ricordare che la Repubblica è fondata sul lavoro. Perché già questa affermazione significa che fatti come il rogo alla ThyssenKrupp, ma anche fatti meno gravi di cui i mezzi d'informazione (colpevolmente) non parlano, dovrebbe essere inconcepibili, oppure banditi, in quanto lesivi della dignità della persona e del lavoro.

Allo stesso modo, il lavoro precario dovrebbe avere maggiori limiti d'impiego, e dovrebbero esserci maggiori tutele per chi lavora, spesso girovagando da un'azienda all'altra, a volte lavorando nella stessa azienda che cambia nome trecento volte in un anno. Altrimenti, si dovrebbe cambiare l'articolo 1. In questo modo: "l'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro precario" oppure sul lavoro "non sicuro", dove il gruppo avverbiale rende l'idea sia del precario che del fatto che per lavoro c'è ancora chi muore. Nei cantieri, ma anche nelle fabbriche, e in altri ambienti ancora.

Tutto questo non è degno di un paese che, solennemente, 60 anni fa, ha dichiarato di essere una "Repubblica democratica".