sabato, ottobre 04, 2008

Un dubbio che rimane (8)

La sera, prima della cena, accompagno Jennifer a ordinare la pizza. Mentre camminiamo sotto la classica pioggerella irlandese un automobile tampona un motociclista che trasporta proprio le pizze per il negozio dove ci stiamo recando. Mi accorgo dell'incidente solo quanto il motociclista è già a terra. Io e Jennifer ci fermiamo per capire se servono soccorsi, qualcuno è arrivato prima di noi e sta chiamando l'ambulanza. Io, a dir la verità, mi sento un po' in imbarazzo perché non saprei esattamente cosa fare per aiutare il malcapitato, e poi, come dicevo, c'è già chi ha chiamato l'ambulanza. Tuttavia Jennifer rimane ferma qualche minuto per capire: più tardi vengo a sapere che lei fa la fisioterapista. La serata passa così, tra una chiacchiera e l'altra e con Jennifer un po' scioccata dall'incidente.

Quella cena mi dà l'occasione di conversare un po' con i miei compagni di viaggio, di conoscerne altri, alcuni che sono già lì e altri appena arrivati. In questa atmosfera mi sento a mio agio, anche il signore anziano mi sembra molto simpatico. Il giorno successivo faccio colazione con un'altra ospite dell'Arnie's, un'australiana di nome Sonia, un altro tipo sveglio. Anche in quel caso si conversa amabilmente; in più Sonia è in grado di parlare e capire l'italiano, viaggia molto; la nostra conversazione si svolge in inglese, lingua a cui la ragazza è più avvezza. Finita la colazione ognuno va per la sua strada, lei prenderà un bus per la Giant's Causeway un'attrazione naturalistica della costa nordirlandese; io, invece, mi limiterò ad una passeggiata senza mappa, magari nei pressi delle rive del Lagan. Mi piace passeggiare sui lungofiume.
Ripongo la mia macchina fotografica: ho scattato 250 foto circa e, in più, le batterie si stanno scaricando. Passeggio in una zona che non ho battuto e senza mappa. In primo luogo attraverso un piccolo quartiere unionista, in cui i murali celebrano la regina d'inghilterra, ma non ho visto la figura di un solo uomo in mitra. Poco distante c'è un quartere repubblicano, con un cartello pubblicitario scritto prima in gaelico e poi in inglese. Pubblicizza una scuola tradizionale, è l'unico caso, nel Regno Unito, in cui ho visto il nome della città scritto in gaelico: Beal Féairste.

Brevemente arrivo a costeggiare il Lagan, passando per il gazometro, un residuo di archeologia industriale segnalato da un pannello turistico. Il Laganside che ho percorso è davvero un bel posto. Aperto solo al transito dei pedoni o dei ciclisti, paragonabile, forse, alla pista ciclabile sul Tevere, ma più pulito, tenuto meglio; più ricco di vegetazione. La passeggiata è lunga, tanto che ad un certo punto mi rendo conto di essermi perso. Belfast è una città in cui orientarsi non è difficile: mi basta tirare fuori la mappa una volta per tornare sulla strada giusta, anche se farò il giro di Donegall Square, dove si trova la City Hall.

Dopo una breve pausa, torno in ostello e ritiro i miei bagagli, è tempo di partire per tornare a Roma. All'Europa Bus Center trovo l'Airport Express 300 già pronto in banchina. Arrivo con discreto anticipo al Belfast International Airport, ma c'è una fila inattesa. Comincio a temere di non essere in tempo, e poi non ho ancora pranzato. Giusto il tempo di passare davanti al banco del check-in e ritirare la carta di imbarco, e sullo schermo appare una scritta delayed a fianco del mio volo. Partenza ritardata di un'ora. Nonostante questo devo ancora mangiare, passare il varco della sicurezza, perciò non mi sento rassicurato. Faccio tutto di fretta, come se non avessi saputo del ritardo. Tutto sommato non mi pento di questa scelta: mi consentirà di rilassarmi più tardi, e vedere, dal cancello di partenza, un aereo che frena e spegne i motori con il muso di fronte al vetro in cui guardo.

La partenza, alla fine è alle 16.30. Tra un banco di nuvole e uno squarcio di cielo sereno riesco a vedere qualche paesaggio e, finalmente, vedo la cima innevata delle Alpi. E poi vedo sorgere la luna e il tramonto dua una nuova prospettiva, da sopra le nuvole. Siamo in prossimità di Roma e si capisce che pochi minuti prima c'è stato un'acquazzone pesante. L'aereo scende di quota e attraversa una coltre di nuvole piuttosto spessa, vibrando per la turbolenza appena passata. Quando si atterra non piove più ma si vede chiaramente quello che è successo nei minuti precedenti la fase di atterraggio.

E così, si ritorna alle consuetudini, alle cose note, alla vita di tutti i giorni: Al ritorno, porto con me esperienze, ricordi, ma forse, e soprattutto, un dubbio che rimane per la città da cui sono partito, l'ambiguità della voglia di vivere portandosi appresso il pesante fardello della storia, senza volerlo né poterlo rinnegare o nascondere.

venerdì, ottobre 03, 2008

Un dubbio che rimane (7)

Domenica 14 settembre è un giorno particolare. Intanto perché, in inglese, è il giorno del sole (Sunday), ma il sole si vede solo a squarci, è la classica giornata irlandese. E poi perché proprio di domenica mi aspetta un tour nella parte più dura di Belfast, in particolare il quartiere di Shankill Road. E' un giorno segnato dalla musica che ho in testa. Vero le 10.00 di mattina salgo sul bus turistico, prime tappe centrali: il Cathedral quarter, la Custom House, l'Albert Clock. Si prosegue poi sulle rive del Lagan, e con passaggio nel Titanic quarter, un cantiere a cielo aperto al cui centro ci sono i cantieri navali H & W che costruirono il transatlantico famoso per il suo tragico viaggio inaugurale. Trovo buffo che qui ci siano manifesti orgogliosi di aver fabbricato quell'imbarcazione. Titanic: made in Belfast. La guida fa un paio di battute sul fatto che, nonostante l'impegno profuso nella progettazione e nella costruzione, l'imbarcazione sia affondata. Purtroppo la mia conoscenza dell'inglese è tale che non riesco a colgiere cosa dica la guida, capisco che si tratta di una battuta dall'espressione del volto della guida e dalla reazione di altri turisti. Il quartiere, dicevo, è un pullulare di cantieri edilizi in vista del 2012, anno in cui ricorre il centenario. In quell'occasione, ovviamente, con quelle bandiere e quei manifesti Titanic 2012 o Titanic: made in Belfast mi veniva in mente un vecchio De Gregori: la prima classe costa mille lire, la seconda cento, la terza dolore e spavento...

La tappa successiva è il castello di Stormont, poco fuori dal centro abitato, attuale sede del parlamento nordirlandese. La strtada passa davanti al porto di Belfast e anche al secondo aeroporto, il George Best Belfast City Airport. Sembra uno scalo di provincia, e si vede che è di recente costruzione. Da una prima occhiata, sono i voli low-cost che fanno scalo qui. In breve si arriva a Stormont. Il castello è posto in una sorta di collinetta, in mezzo ad un parco, davvero un bel posto. Tra l'autista del bus e la guardia all'entrata del parco c'è uno scambio di battute. Mi piacerebbe scendere qui ma poi dovrei aspettare il bus successivo, e, sapendo che ne passano fino alle 14.00, scelgo di rimanere seduto e tornare al centro.

Si passa rapidamente al Laganside, con il S. George's market, di epoca vittoriana. In una fermata noto di sfuggita il murale di Donegall Street che tornerò a fotografare. Intanto, già dal castello di Stormont la colonna sonora che ronza nel cervello è cambiata: Sunday, bloody sunday degli U2. Ci si avvicina alla parte dura della città. La guida e il conducente del bus si scambiano battute, mi sembra di capire che il secondo parli (ironicamente) come se non avesse voglia di accedere al quartiere unionista. Decido di scendere proprio lì.

La zona è desolata, è pieno giorno. Ci sono decine e decine di bandierine del Regno Unito che attraversano la strada stese su fili, e molti murales raffigurano uomini in passamontagna armati di mitra. Si vede spesso anche la bandiera dell'Ulster con la mano rossa, e nei murales questo simbolo è spesso accompagnato dalla sigla UVF, Ulster Volunteer Force. Nei murales si ricordano il reggimento caduto in battaglia nel corso della prima guerra mondiale, oppure si omaggia la regina madre, o il regno unito. L'aria che si respira è molto tesa, ci si sente come se ci si volesse difendere da qualcuno. C'è un parco che commemora i caduti dell'Uvf, e poi c'è un murale agghiacciante, che ritrae un bambino ferito, con una scritta che lascia intendere che i genitori sono stati uccisi da una bomba o da un attentato repubblicano. Passeggio un po' per la strada e osservo, ma in giro non c'è quasi nessuno e mi sento un po' a disagio. Decido di aspettare il bus successivo e tornare verso il centro anche per mangiare. Nel tragitto passiamo per la peace line, il muro che separa le due comunità. Anche in questa parte ci sono murali. Passiamo anche per Falls Road, il quartiere repubblicano e si vede subito. In primis appaiono le scritte anche in gaelico, in alcuni casi viene utilizzata solo questa lingua. Su un edificio campeggia la bandiera della Repubblica. Sembra quasi di aver passato di nuovo il confine.

In breve si torna al centro. Dopo la pausa pranzo, mi reco a piedi a Falls Road. Forse mi sono sentito rassicurato dai murales anti- Bush, o dal sorriso di Bobby Sands dipinto dul muro della sede dello Sinn Féin, perciò torno a piedi e fotografo ancora. Anche qui c'è un parco commemorativo dei caduti repubblicani, ma si respira un'aria un po' diversa. Non ho visto un solo murale contro l'Uvf, mentre a Shankill c'era qualche segnale anti-repubblicano e anti- IRA. Poi, certo, la situazione reale, lo si capisce, dev'essere molto più complessa di quella che si vede dai murali. Però ci sarà un motivo per cui ho percepito un'aria più distesa tra Springfield Road e Falls Road, che non a Shankill Road e dintorni.

Una volta finito il tour, passeggiando, torno alla City Hall con la sua ruota panoramica e mi rendo conto di quanto questa città sia ambigua, ma non è ipocrita, perché non vuole né può nascondere la propria storia (per molti versi difficile), semmai cerca di conviverci con il massimo di leggerezza ed ironia possibile. La mia visita in Irlanda volge alla fine. Di sera torno in ostello, converso amabilmente con Jennifer, decido di cenare con lei e le altre ragazze. Suono un po' la chitarra, e dentro di me comincia a risuonare l'eco di quelle parole che mi avevano accompagnato a Fiumicino: ma cos'è questo strano rumore di piazza lontana? Sarà, forse, tenerezza o un dubbio che rimane? e comincio a pensare che Belfast mi lascia proprio questa sensazione, quella del dubbio che rimane.... Chissà, forse c'è anche un po' di malinconia nel sapere che il giorno successivo si parte per tornare a Roma e alle consuetudini.