martedì, settembre 30, 2008

Un dubbio che rimane (6)

La sera prima di partire controllo l'itinerario che mi porterà dall'Europa Bus Center all'ostello. La mattina mi alzo presto e riesco a prepararmi la colazione con ciò che trovo nella cucina dell'Isaacs Hostel di Dublino. Giusto il tempo per conversare con una coppia Canadese e ricordarsi che pompelmo, in inglese, si dice grapefruit che io ricordavo fosse l'uva (grape). Dopo un breve relax prendo il bus per Belfast. Il viaggio dura un paio d'ore. Ci si accorge del passagio del confine tra Repubblica e Regno Unito: cambia il sistema di misurazione (le distanze sono indicate in yards e non in metri), sparisce la doppia denominazione delle destinazioni, in inglese e in gaelico. Nei cartelli in Eire sotto la scritta Belfast c'è sempre Beal Féairste, la dicitura in gaelico. Si entra nel Regno Unito e questa scritta non si vede più. In compenso appaiono i cartelloni pubblicitari delle chiese presbiteriane (che ci sono anche in Eire, ma non espongono cartelli all'esterno).

La prima città che incontriamo nel viaggio è Newry, presso cui il bus fa una fermata abbastanza rapida. Sembra un posto gradevole. Arrivo a Belfast verso l'ora di pranzo. Il tempo per posare il bagaglio al mio ostello, saldare il conto (dopo aver cambiato valuta, €100 per £73.10), mangiare e fare una prima passeggiata. Un concentrato di sensazioni in poche righe e in poco tempo. Primo: è il primo giorno, da quando sono in Irlanda, che non cade una goccia di pioggia. Sono partito col sole e anche a Belfast mi accoglie il sole e un tepore che mi ricorda Roma (complice l'orario). Secondo: Arnie's Backpackers, l'ostello che mi ospita, è praticamente un appartamento: mi danno una chiave che apre non la stanza, ma la porta principale dello stabile. In una stanza comunitaria ci sono un televisore con un lettore dvd, un vecchio pianoforte e, in un angolo, una chitarra classica che più tardi accorderò. Terzo: l'impatto con Belfast è il migliore in assoluto.

Trovo un posto per mangiare e mangio molto bene per un prezzo contenuto, in un locale in cui passa musica jazz; le mie prime passeggiate mi portano al quartiere universitario e all'orto botanico, luoghi vicini al mio ostello, ma molto belli da visitare. Tra l'altro la struttura urbanistica mi sembra molto semplice, riesco ad orientarmi bene.

Tra una cosa e l'altra mi organizzo per prendere il bus turistico (il giorno successivo) che mi porterà ai quartieri duri di Belfast. La sera salgo nella mia stanza e scopro che i miei due compagni sono una ragazza (di cui scoprirò il nome il giorno successivo, Jennifer), e un signore anziano. La prima notte passa tutto sommato tranquilla, se non fosse per il fatto che il signore si alza dal letto due o tre volte e che io per un'oretta ero in dormiveglia con la luce accesa e Jennifer che leggeva.

domenica, settembre 28, 2008

Un dubbio che rimane (5)

Questo racconto sta diventando più lungo di quello che pensassi, ma proseguiamo. Dopo l'impatto brusco, mi adatto al clima vivace e caotico di Dublino, che comincio ad apprezzare. L'immagine che rimane di questa città, è, però, quella di una capitale condizionata in tutto e per tutto dal turismo di massa. La stanza dove dormo in ostello, composta da sei letti, ospita ben quattro italiani (me compreso) e un marsigliese.

La cosa buffa accade la prima sera, dopo il mio rientro in stanza per coricarmi. Avevo già tolto i miei occhiali ed ero in una fase di veglia rilassata, quella che precede il sonno per intenderci. Entrano due ragazzi e una ragazza e salutano con il più classico degli "Hi". Mi presento: "Hi, I'm David". Ho anglicizzato il mio nome (anche nella pronuncia) perché penso che per uno straniero sia più facile pronunciare "David" che non "Davide". Loro, invece, si presentano in italiano: "Hi, I'm Andrea, she's my sister, Claudia, and he's my cousin". Beh, la prima cosa che mi viene in mente è chiedergli, in inglese, siete italiani? Loro rispondono sì. A quel punto, per gioco, faccio finta di non essere italiano anche io, e per quella sera parlo loro solo in inglese ("is there something troubling?"). Tutto sommato sono andato all'estero anche per incontrare e parlare con persone straniere, perciò incontrare altri italiani smonta un po' questa idea. La mattina dopo decido che il gioco deve finire. Saluto la ragazza con un bel "buongiorno", quanto basta per farle capire che lingua parlo. E invece, la risposta è educata ("buongiorno") ma dopo c'è il silenzio. Aspetto un po' e poi rivelo il gioco.

Dublino ha diverse cose interessanti, il S.Stephen's Green, la Christ Church Cathedral, il Writers' museum... senza contare la vivacità del quartiere di Temple Bar, dove si trova sempre un musicista di strada. La musica è coltivata molto bene in Irlanda, e Dublino è capitale anche in questo. Se, girando per Cork, avevo trovato due bei negozi di strumenti musicali, a Dublino ne trovo uno a dir poco splendido, enorme. Figurarsi che in vetrina espone arpe celtiche (e questo uno poteva aspettarselo) ma anche un contrabbasso, una batteria... Quando in genere i nostri negozi di musica espongono chitarre, tastiere, strumenti un po' più 'tradizionali'. Il negozio è veramente immenso ed ha una varietà di strumenti (compresi pianoforti a coda) immensa. E' praticamente impossibile che io esca da un negozio di quel genere senza aver comprato nulla. Infatti, ne esco con un Irish tin whistle (un flauto tradizionale irlandese) da regalare a mio cognato, e una armonica a bocca in do con un libello per imparare e le prime partiture.

Se non fosse "rovinata" dal turismo esasperato, che rende i prezzi alti e la città frenetica in un modo che non mi aspettavo, Dublino sarebbe una degna capitale europea, il cui unico vero handicap è quello dei trasporti pubblici, con due linee LUAS che neanche s'incontrano. Certo, ci sono gli autobus, ma il caos è veramente ai livelli di Roma, con l'aggravante che Dublino è molto più piccola, e, tutto sommato (se non si è stanchi) percorribile bene a piedi e in bicicletta (le piste ciclabili sono ovunque, e c'è anche una segnaletica adeguata, con semafori appositi. Infatti c'è anche un buon traffico ciclistico).

Alla fine della mia permanenza, se dovessi scegliere una canzone per rappresentare Dublino, sarebbe Sultans of swing dei Dire Straits, mentre per Cork avrei più difficoltà a scegliere una canzone - simbolo... Forse potrebbe essere Just my imagination dei Cranberries.

sabato, settembre 27, 2008

Un dubbio che rimane (4)

Cork mi è piaciuta molto, anche se ho avuto problemi di orientamento nel percorrere a piedi le strade. Le mappe che avevo non riportavano i nomi di tutte le strade, perciò almeno una volta al giorno facevo un tragitto lunghissimo per arrivare in un posto vicino. Sarà anche per questo che non sono riuscito a vedere la Red Tower, e non ho avuto occasione di assaggiare almeno la Murphy's o la Beamish.

Julien, il mio compagno di stanza belga, è gentile e socievole. Una sera mi fa usare il suo portatile per telefonare - con la mia utenza Skype - a mia sorella. Inoltre, il 10 settembre entrambi dobbiamo andare a Dublino, perciò ci mettiamo d'accordo. Ci diamo un appuntamento e prenderemo il bus insieme. Ho ancora il suo numero telefonico in rubrica, magari gli manderò un sms di saluto. La mattina del 10 settembre esco per una breve passeggiata. Subito dopo torno all'ostello e, presi tutti i bagagli, io e Julien andiamo a Parnell Place a prendere il bus delle 10.

Per fortuna abbiamo deciso di partire a quell'ora e non più tardi. Il viaggio verso Dublino è lungo. Verso le 12/12.30 ci sarà una sosta presso un'area di servizio, per mangiare, sgranchirsi un po' le gambe, e soddisfare altre necessità. Arriviamo a Dublino, Busàras verso le 14.40. Sapendo che fra qualche giorno mi aspetta Belfast, ne approfitto per prendere un volantino con la tabella degli orari per quella destinazione. Con Julien ci salutiamo cordialmente, see you later, ma di fatto ognuno andrà per la sua strada.

Il mio ostello è a due passi dalla stazione dei bus, mentre Julien dovrà prendere la LUAS o camminare un po'. Dublino si rivela subito nella sua caoticità estrema di città turistica. L'ostello pullula di persone, molti usano i pc portatili sfruttando la connessione wi-fi gratuita, io resto in attesa di poter fare il check-in per poter posare il mio borsone in una stanza e ripartire. Intanto la radio passa musica rock, ma ad un certo punto riconosco l'inconfondibile voce di Carmen Consoli che canta di na persona che biascica un malinconico Modugno.

Posato il mio bagaglio esco e vado subito al Dublin Tourism Centre in Suffolk street. Prima sorpresa: la ragazza allo sportello mi dice subito "sei italiano?". Chissà da dove avrà capito la mia provenienza. Secondo: l'ufficio turistico di Dublino è un bell'edificio, è una vecchia chiesa; anche lo spazio all'interno è grande, e non manca un negozio di souvenir, naturalmente. Poco distante dal centro turistico dove ritiro il mio Dublin Pass, c'è il Trinity College. Devo dire che non mi entusiasma. Sarà per il fatto che ho visto il College di Cork ed è tutta un'altra cosa: su una collinetta, edifici che sembrano case che spuntano tra alberi e parchetti... Per fare un paragone con Roma sembrava quasi di passeggiare a Villa Pamphili e, ogni tanto, trovare edifici o piazzette dove ci si si può incontrare, luoghi dove si può studiare in solitudine o in compagnia...

Il Trinity College ha una struttura diversa. Gli edifici non sono molto alti, ma il disegno architettonico mi ricorda quello razionalista che caratterizza la Città Universitaria di Roma. L'impianto è sicuramente più sobrio e meno retorico, però quella struttura risulta "quadrata", e meno piacevole di quella vista a Cork.

La mia prima (mezza) giornata a Dublino la passo a maledire la città: mi accoglie il caos su O'Connell street, il via vai frenetico delle persone, i semafori pedonali che non scattano mai, il suono delle ambulanze (ne ho sentita almeno una al giorno) e, come se non bastasse, dalla mia stanza si sente chiaro il rumore della DART, il cui ponte ferroviario passa proprio sopra le nostre teste.

martedì, settembre 23, 2008

Un dubbio che rimane (3)

Cork è una città piccola, ma molto gradevole e per certi versi sorprendente. Non mi aspettavo, ad esempio, che il centro (zona S. Patrick's street, Merchant's quay, etc.) fosse caotica, con un traffico automobilistico - lungo i quay - che mi ha ricordato da vicino i lungotevere; aggiungiamo a questo il fatto che i semafori pedonali, in Irlanda (e su questo l'isola è unita) durano poco meno di 30 secondi, e consentono l'attraversamento solo con un passo spedito. Se sei munito di bastone, è finita. Beh, col tempo ho imparato che i semafori pedonali si possono prendere con "beneficio d'inventario" (l'alternativa è attendere che scatti il verde per qualche minuto, tenendo conto che il semaforo cambierà colore in 30 secondi...), facendo la dovuta attenzione.

Ad un centro cittadino caotico e vivace (pieno di negozi e catene tipo Burger King etc. etc.) si affianca una zona "periferica" in cui il traffico è molto poco, è più facile trovare edifici di stampo tradizionale, non si trovano grosse catene commerciali, mentre si trovano pub tradizionali o locali del genere.

Uno dei posti che mi ha colpito, visitandolo è la Cork City Gaol, la prigione storica dove spesso sono stati recluse persone solo perché disagiate, povere, "ladri di polli", a volte sottoposti a pene assurde.

Tra una cosa e l'altra mi rendo conto di aver sopravvalutato la mia padronanza dell'inglese. Mi rendo conto di essere un po' come un vecchio motore diesel arrugginito, e che avrei bisogno di maggiore esercizio, sia nell'ascolto che, soprattutto, nel parlare. Ma pazienza.

Con i miei compagni di stanza, Lazarus (greco) e Julien (belga) c'intendiamo bene, siamo usciti insieme e abbiamo cenato. Con Julien ho preso il bus per Dublino da Parnell Place il 10 settembre. Anche lui si recava lì.

Alloggiavamo in un ostello non distante dalla S.Patrick's hill. La salita per arrivare in cima è un po' faticosa, ma vale la pena. Dall'alto si gode un notevole panorama di Cork.

Un'altra curiosità è che a Cork trovare la Guinness è possibile, ma sarebbe un gesto di enorme scortesia chiedere una pinta quando tutti i pub ti propongono le stout locali, Murphy's e Beamish. Non sono riuscito ad assaggiare nessuna delle due. In compenso ho fatto la cura del tè. Prendevo tè anche a pasto per paura che mi portassero l'acqua solo in bottiglia. Ero entrato nell'ordine delle idee di pagare l'acqua minerale, magari 2€. Beh, ho visto che il tè costava 2€, pensavo, perché non prendere il tè?

Metti un tè a colazione (perché non ho coraggio di assaggiare un caffè non italiano), un tè a pranzo e uno a cena....

Altro posto da vedere nei dintorni di Cork è il Blarney Castle. Certo, è un posto su cui ci sono anche speculazioni ad uso turistico, come la Blarney Stone. Se baci la pietra, dicono, avrai in cambio l'eloquenza. Di certo c'è il fotografo che ti aspetta e ti farà vedere l'immagine, pronta per essere acquistata al chiosco dei souvenir. Però vale la pena di visitare il posto. Il castello è praticamente circondato dal bosco, e poi c'è la Rock closed, un percorso in cui si trova un dolmen, dei wishing steps, tutto in mezzo al bosco... Tutto ciò senza contare il poanorama che si gode dall'alto del castello: di un verde sfolgorante come non l'avevo mai visto.

domenica, settembre 21, 2008

Un dubbio che rimane (2)

Innanzi tutto il mio aereo doveva partire alle 8.30 di sera. Alle 18.10 passa mio cognato a prendermi e arriva la prima sopresa: traffico intenso verso Roma, sulla Pontina ma anche sulla Laurentina. Evidentemente tutti i vacanzieri avevano deciso di rientrare proprio quel giorno. Si cammina a passo d'uomo, fa caldo e la radio, tra le altre, passa "Modena" di Venditti. Ma cos'è questo strano rumore di piazza lontana? Sarà forse tenerezza, o un dubbio che rimane...

Ma non c'è tempo per i dubbi, non ora. Arriviamo all'aeroporto verso le 8.00 (o pochi minuti prima), io sono trafelato. Devo fare ancora il check-in e la carta d'imbarco, credo di esere arrivato giusto in tempo. Entro, mi affretto e scopro che la partenza è ritardata: il volo partirà alle 22.30 (!!!). Come se non bastasse, tutta la mia strategia per il bagaglio a mano fallisce: per poter essere trasportata in cabina, la mia borsa non dovrebbe pesare oltre i 6 kg, e la bilancia ne indica 8.6. Mettici lo zaino vuoto, la macchina fotografica con pile e caricabatterie, il k-way per la pioggia, delle magliette e pantaloni di ricambio... Va tutto nella stiva, con le sue belle etichette. E va afarsi benedire anche il pensiero di non avere la preoccupazione di aspettare il bagaglio al nastro, che poi chissà quanto tempo, sempre che non lo freghi qualcuno.... Ma pazienza, è andata così, bisogna farsene una ragione.

Così, nell'attesa, leggo un bel po' di un libro che avevo lasciato in sospeso, sempre con un minimo d'ansia per non perdere l'aereo. Ad un certo punto rompo gli indugi e vado verso gli imbarchi, la mia uscita è la C9. Tutto sommato, la partenza è normale, non subisce ulteriori dilazioni rispetto a quelle già annunciate. Solo, avevo previsto di poter prendere un bus dall'aerostazione di Cork all'ostello, ma atterrerò troppo tardi.

Non avevo mai visto un aeroporto così "familiare". Scendo dalle scalette come vedo fare solo in tv. Sono le 1.30 della notte, ora locale (le 2.30 in Italia). Vista la mala parata, prometto a me stesso che la prossima volta prenderò un volo di mattina, ma mai più di notte. Prendo un taxi e subito salgo sul sedile posteriore destro. Davanti a me ho il taxista con i suoi comandi. Penso che guidare tenendo la sinistra non sia poi così diverso e, remotamente, penso che non andrei in confusione. Però fa un effetto strano vedere il volante posizionato là dove da noi c'è un passeggero. E mi chiedo perché, per chi guida a destra, il volante è a sinistra e viceversa. Credo sia una questione di visibilità dallo specchietto centrale.

In breve il taxi mi porta all'ostello, è quasi al centro di Cork e non è molto distante dall'aerostazione. Pago il mio viaggio, ritiro il bagaglio, entro. Esibisco la mia prenotazione e la mia carta d'identità, e, dopo aver pagato, entro in stanza, la n. 108. Posso scegliere un letto qualsiasi, mi dicono. Peccato che due letti su quattro siano già occupati. Ho il problema di entrare, aprire il borsone e cambiarmi, e fare tutto questo senza svegliare i miei compagni distanza. Sono le 2 della notte, ricordiamolo. Tutto sommato credo di essermela cavata. Però prometto a me stesso: la prossima volta non viaggerò di notte.

sabato, settembre 20, 2008

Un dubbio che rimane (1)

La parola vacanze, stranamente, non evoca in me il piacere e la rilassatezza. Forse perché, come avviene per altri aspetti della mia esistenza, non mi concedo spesso questo piacere, cerco di fare sempre attenzione al tempo che spendo. Forse è in questo che va cercata la ragione per cui se parto, preferisco farlo di settembre - o - comuinque - in un periodo che ritengo migliore perché meno affollato. Aggiungiamo a questo un po' di sana(?) vanità che consiste nel presentarsi, agli altri, come colui che - come il barcarolo romano di Romolo Balzani - sceglie appositamente di andare in vacanza quando tutti tornano perché "er barcarolo va controcorente"e mi piace così.

E' così che decido di partire a setembre, e per l'Irlanda che tutti dicono verde. Anche stavolta ho scelto un volo che parte di sera, atterrerò di notte a Cork ma non fa niente. Ho già previsto tre tappe: Cork, Dublino, Belfast, e altrettanti ostelli nelle tre città.

Nella mia preparazione c'è un metodo scientifico, quasi come quello di Gassmann ne "I soliti ignoti". Talmente scientifico che metto tutto il mio bagaglio nel mio borsone, sicuro del fatto che passerà come bagaglio a mano (il borsone non ingombra molto); ho già previsto anche l'autobus che mi porterà dall'aeroscalo all'ostello, ho prenotato anche il biglietto su internet.

Che dire? L'entusiasmo mi ha fatto fare progetti, calcoli, ma anche programmi più vaghi, idee, sogni... D'altra parte, come dice il buon De Gregori,
Dietro a un miraggio c'è sempre un miraggio da considerare, come del resto alla fine di un viaggio c'è sempre un viaggio da ricominciare. Ecco, il mio viaggio è partito così, come un grande miraggio in cui non sapevo neanche quanto credere. Ma le sorprese son tutte da scoprire