sabato, ottobre 29, 2011

ARoma d'Oriente (6)

Ci sono ancora molte cose che è possibile fare, molte che si potrebbero raccontare. L'idea di passare dalla sponda europea a quella asiatica, per esempio. Avrei dovuto farlo ieri, ma non me la sono sentita, anche per affaticamento. Torno a Beyoglu, la mattina presto Istiklal Caddesi è una via quasi normale, cuore pulsante della Istanbul moderna insieme a piazza Taksim. Finalmente posso vederla un po' meglio. Passeggiando vedo la chiesa di S. Antonio da Padova, edificio costruito dall'architetto Giulio Mongeri, in questa zona ci sono almeno due o tre opere sue.

Così, dopo tante moschee, entro pure in una chiesa cristiana, che non sia diventata museo (come Santa Sofia o S. Salvatore in Chora) per i suoi mosaici bizantini. Me ne vado subito, è un luogo - ai miei occhi - "normale". Come nel giorno precedente, giro qua e là quasi senza meta. Mi avvicino alla Palazzina Dolmabahce, poi entro nella Kilic Ali Pascià Camii. L'ultima moschea del mio viaggio, se siete da quelle parti passateci perché vale la pena. Dopo pranzo andrò di nuovo verso il Gran Bazaar, ma non è un luogo che mi impressiona particolarmente.

Nell'ultima serata assisto anche ad una scena improvvisa, dalle parti di Kuçuk Ayasofyia. Un matrimonio. E' una festa vera: l'autista che viene a prendere la sposa; prima di scendere si suona e si canta. Una volta che sono tutti in automobile, seguiti da un corteo di invitati, l'autista lancia dal finestrino fogliettini di carta che sembrano inviti. Li hanno raccolti alcuni bambini. Chissà, forse nel rito è prevista la partecipazione di qualche "invitato casuale".

Si è fatta ora di cena e quasi quasi a fine pasto mi fumo il narghilè. E' l'ultima serata. Il locale è un angolo di pace, solitario e rilassante. Per mangiare lo sconsiglio. Non che si mangi male, ma è tutto preparato: il riso cotto al forno a microonde... insomma, una mezza specie di piccolo McDonald dove si mangia turco. Però per il fumo ed il çay è davvero un bel posto. Sembra proprio di essere dentro una casa turca.

Il giorno dopo c'è tempo solo per la colazione ed una breve passeggiata. E' ora di partire. Ho trovato traffico e caos dappertutto. Appena arrivato mi ha impressionato la quantità di navi (e petroliere) che solcano il mar di Marmara; durante la permanenza ho avuto a che fare con il caos cittadino: turisti, turisti, persone del luogo, tram pieni (tranne la mattina presto), caos di automobili e clacson... Il viaggio finisce con il traffico sui cieli. La partenza dell'aereo ritarda di un'ora e 20: viene data precedenza prima ad altri aerei in fase di decollo, poi, dopo alcune manovre di rullaggio, ad altri che stanno per atterrare. Nella mia mente appare nitida l'immagine del semaforo che divide la Pontina dalla via Cristoforo Colombo.

martedì, ottobre 18, 2011

ARoma d'Oriente (5)

Stamattina, contrariamente a ieri, mi alzo senza avere neanche una bozza di programma in testa. So che voglio vedere i mosaici di San Salvatore in Chora; so che vorrei tornare al Gran Bazaar oppure a Beyoglu perché le mie precedenti incursioni sono state frettolose. Istiklal Caddesi, in pratica, non l'ho ancora vista. Da quando sono partito da Roma, però, ho un po' di raffreddore. Nei giorni scorsi ho sorseggiato sempre tè caldo alla fine di ogni pasto. E' sempre stato piacevole, anche grazie al bicchiere ricurvo in cui ti servono la bevanda, bollente. Tutto sommato non mi sento malissimo, anche se qualche volta ho preso aria. Ieri mi sono stancato ma ho anche riposato. Ora sono solo indeciso.

Faccio colazione nella terrazza vista mare, come al solito. Rientro in camera e guardo l'orologio. Saranno le 08.30. Bene. Allora stamattina andrò a S. Salvatore. La guida routard consiglia di andare presto, e in più il luogo è un po' distante dal centro storico. Sarà bene muoversi.

Prendo il Tram a Sultanahmet (Divanyolu Caddesi) e scendo a Yusufpascià, dove c'è un cavalcavia pedonale e le indicazioni per la stazione metro Aksaray, poco distante. Prendo anche la Metro e scendo a Topkapi-Ulubatli. Sono a ridosso delle mura costantiniane, e la mia mappa da routard è un po' meno dettagliata. In ogni caso me la cavo: leggendo la carta della stazione e chiedendo, prendo un altro tram e scendo a Edirnekapi, appena fuori le mura. Alla mia destra c'è un cimitero islamico che per grandezza mi ricorda un po' il Verano. Passo sotto l'arco, il museo è poco distante secondo la mappa. Chiaramente mi perdo qualche minuto nei vicoletti del quartiere, appena abbandonato il bulivari che lo taglia in due e porta verso il centro.

Appena arrivo (pochi minuti) un sospiro e un'emozione. Ci sono. Il posto mi piace, e molto. E' un'altra faccia di Istanbul, in cui il turismo sembra completamente assente, fino a quando non arrivi davanti alla piazza del museo. Lì vedi quasi solo viaggiatori, ma vale veramente la pena di arrivarci. Entri e la vecchia chiesa bizantina è circondata da un giardino interno, con una terrazza che dà su un parco. Già è bello così. Dentro inizio a vedere gli affreschi. E' pieno di visitatori armati di macchinetta fotografica, ma è meno affollato della Moschea Blu. In piazza c'è qualcuno che mangia o compra oggettini, forse sono già stati dentro. E' un trionfo di mosaici, i più belli che abbia visto. Bellisimo gioco di luci ed ombre creato dai colori dorati. Gran bel posto, di nuovo: vale la pena.

Per il pranzo decido di tornare verso il centro. Mangio un tavuk kebap con baklava e çay come dessert, poi torno in albergo per decidere cosa fare nel pomeriggio. L'idea è riposarsi pochi minuti e poi riprendere... Alla fine farò un'oretta di sonno sul letto. Comincio a sentirmi un po' "tonto" e affaticato, anche se ogni volta che vedo il manifesto dei dervisci nel mio cervello rimbomba il suono di cavigliere del katakhali. Soffro l'umidità, e la macchinetta fa sentire il suo peso sulla schiena. Comunque, riprendo il cammino ma risparmio un po' le energie. A Beyoglu, dall'altra parte del ponte di Galata, ci tonerò domattina. E' meglio.

giovedì, ottobre 13, 2011

ARoma d'Oriente (4)

La mattina successiva mi preparo e consulto la mappa per decidere cosa fare. Ho una bozza di programma in mente. Partire da Eminonu per vedere la moschea di Rustem Pascià. Di lì andare verso la moschea di Solimano e passare per Beyazit oppure il Gran Bazaar, poi si vedrà. E' così che faccio, sull'idea della bozza. La moschea di Rustem Pascià è ben nascosta, e ci si arriva passando attraverso il bazaar egiziano.

Subito scatta il confronto con il Marocco. Nella medina di Meknès c'erano sia il mercato, il suq, che la moschea, la medersa (scuola coranica) etc. Ricordo chiaramente un 50 metri di spazio libero tra l'ultimo mercante e il viale che porta alla moschea, a Meknès. In questo quartiere, invece, mentre si salgono le scale per entrare nel cortile di Rustem Pascià, dalle finestre con le grate si vedono le scarpe, gli occhiali, le spezie. Ancora qualche passo e il mercato sarebbe letteralmente entrato nel cortile del tempio. E' rimasto appena fuori dal recinto.

La cosa è ancora più strana, pensando al fatto che la moschea e il suo cortile rappresentano un isolotto di pace in mezzo al quotidiano viavai e agli odori che provengono dai vicoletti che la circondano. E' un bel silenzio ed è irreale la collocazione, segno forse della "giusta distanza", sia pure ravvicinata. Dentro il tempio alcune delle decorazioni tra le più raffinate che abbia visto, di un blu che la moschea universalmente nota con questo nome non riesce neanche immaginare. Un blu ancora più intenso di quello che avevo già visto nella Sokullu Mehmet Pascià Camii, poco distante dal mio albergo.

E' all'ingresso di Rustem Pascià che fotografo i miei piedi scalzi vicino alle scarpe. Sarà la sesta (?) volta che entro in una moschea e così mi andava di ricordarlo.

Riprendo il mio cammino diretto verso la moschea di Solimano, ma mi ritrovo invece a piazza Beyazit. Poco male: la piazza è bella, poco distante c'è l'ingresso dell'università ed il Gran Bazaar. Così faccio un rapido giro da quelle parti e poi mi dirigo dove volevo andare all'inizio: non è molta la distanza. Credo che sia la moschea più grande di Istanbul, quella di Solimano. In un quartiere - Fatih - che mi sembra più "turco" (e quindi "vero") degli altri che ho visto finora. Mi concedo un pasto in un luogo che era classificato come chic ad un prezzo onesto. Il posto meritava davvero, era una delle dépendances del sultano da quelle parti. Il pasto che mangio ha un sapore molto delicato che va benissimo a rompere l'aroma delle spezie di cui sentivo ancora il retrogusto nel palato.

Ricomincia la camminata, torno a piazza Beyazit e dintorni per approfondire un po'. Tra Ordu Caddesi, il Gran Bazaar e quella piazza si concentra uno dei nuclei più movimentati della città: studenti, turisti (soprattutto dentro il bazaar), gente del posto. E' un quartiere pulsante e caotico, ma mi piace molto: nel complesso si respira un'atmosfera "autentica" e non artefatta ad uso esclusivo dei viaggiatori. A fine giornata, tornare verso l'albergo è semplice: il tram ferma proprio su Ordu Caddesi, vicino a Piazza Beyazit. Oggi ho percorso il giro che mi è piaciuto di più.

mercoledì, ottobre 12, 2011

ARoma d'Oriente (3)

La piazza di Sultanahmet, con tutto il caos, sarà per me sempre un punto di riferimento. Nasconde angoli dove ci si può rilassare, mentre si osservano i minareti cambiare colori. Certo, magari appena pensi di stare tranquillo un poco arriva un signore turco con cui imbastisci una conversazione in inglese, e poi scopri che vuole venderti tappeti. Ce ne sono di tutti i tipi: di quelli cordiali che appena hai detto "no" se ne vanno e si comportano in modo educato, e di quelli insistenti e invadenti, che bisogna trattarli un po' bruscamente sennò ti seguono mentre cammini. Finita la mattinata con le tre cose principali di questa piazza, decido di fare un salto verso la stazione e passare il ponte di Galata.

Subito mi colpiscono il numero spropositato di barche e traghetti sul molo di Eminonu, le voci di chi ripete "Bosphorus, bosphorus..." cercando turisti per la traversata, i chioschi che vendono giornali, Akbil (carte per i mezzi pubblici di trasporto), acqua etc., ma soprattutto i pescatori. Uomini, soprattutto, armati di lenza, uno in fila all'altro. Vicino al ponte, sul ponte stesso... Mentre sul Mar di Marmara passa di tutto e l'odore non è proprio quello del pesce fresco. O forse sì.

Penso a qualcosa come la pesca sul fiume Tevere, non la immagino così diversa. Solo, un po' più caotica, affollata e chiassosa, ma siamo pur sempre a Istanbul, non in una città che al confronto pare piccola e provinciale, come Roma.

Attraverso il ponte e cerco di addentrarmi, prima passando verso la torre di Galata e poi per cercare Istiklal Caddesi di cui parla tanto la mia guida routard. Cammino senza consultare troppo la mappa, così mi trovo lungo un viale largo, un bulivari turco che porterà a Piazza Taksim ma che mi sembra piuttosto lungo da percorrere, ed è in salita. Se non altro, si gode un bel panorama: si vede persino l'acquedotto di Valente da lontano. Poco dopo decido di fermarmi per mangiare in un piccolo locale. Un buon pasto con acqua e çay (tè) finale per 5YTL, davvero ottimo. Quattro chiacchiere con il padrone vestito con un camice giallo e rosso. appena sa che sono italiano comincia ad elencare nomi di giocatori: Totti, Buffon, LucaToni... Io chiaramente rispondo con Hakan Sukur. Il tè sarà una costante dei miei fine pasto.

A piazza Taksim ci arriverò in bus, ho l'Akbil pronto e carico, perciò viaggerò un bel po' prima di doverci mettere altri soldi dentro. Torno a Eminonu che si sta facendo sera, do' un'occhiata e cerco la moschea di Rustem Pascià dalle parti del Bazaar Egiziano, ma non ho voglia di girare ancora molto per vicoli e vicoletti, perdermi e trovare poi la moschea. Il peso della reflex comincia a farsi sentire sulla schiena.

Così decido di tornare verso il Sultanahmet, mi fermo nei pressi del Topkapi dove scopro, letteralmente, il parco di Gulhane. Un bell'angolo di paradiso alberato in pieno centro, fuori dal caos. Il luogo giusto per il relax prima di tornare verso l'albergo. Ottimo anche perché non ho mai incontrato nessuno che volesse vendermi qualcosa, in questo parco. Ci tornerò, quasi con cadenza quotidiana.

martedì, ottobre 11, 2011

ARoma d'Oriente (2)

In questo viaggio ho un'idea di massima delle cose che voglio fare. Quelle immancabili: Sultanahmet Camii, la moschea Blu, Santa Sofia, Yerebatan Sarnici, San Salvatore in Chora. Le altre idee sono possibili, secondarie, eventuali. Alcune ce l'ho proprio a portata di mano. Il Topkapi decido di evitarlo, non mi attrae. Il Gran Bazaar (Kapali çarsi) lo andrò a vedere di sicuro, poi si vedrà. Il primo giorno intero è giocoforza dedicato alla piazza di Sultanahmet. Si comincia alle nove con la moschea.

Che dire? La sua struttura elegante e leggera, la sua posizione felice la rendono un punto di riferimento sicuro. Da ogni angolazione sembra quasi che la moschea non aspetti altro che il click della macchina fotografica. Sono abbastanza sicuro di aver fatto la maggior parte delle foto a questo edificio: nei dettagli, negli scorci, di giono, al tramonto, di notte. A Roma, in gergo, si userebbe un'espressione colorita: "bella su tutte le r(u)òte". Sultanahmet Camii mi resterà impressa per questo: offre sempre il meglio di sé. Fuori, ma anche dentro, dove oltre alle maioliche blu ci sono dei rossi da non sottovalutare. Ci sono moschee più blu di quella che così è comunemente conosciuta, ma tant'è: atteniamoci alle guide europee...

Meno fortunata la consorella e dirimpettaia Santa Sofia, palinsesto dove si sovrappongono e si sottraggono a vicenda il bizantino e l'arabo, la chiesa e la moschea, mischiandosi in unico caleidoscopio per nulla contraddittorio, ora adibito a museo. Ayasofia (o Haghia Sophia, o Santa Sofia) è meno fortunata: tra crolli della cupola e contrafforti e rinforzi è rimasta un po' sfigurata all'esterno. Intendiamoci: l'edificio è integro e possente, ma non può vantare le forme leggere ed eleganti della dirimpettaia. Di fronte ai colori del sole che tramonta il confronto è improbo. La moschea blu batte Ayasofia tre a zero netto.

Nel museo, dicevo, convivono facilmente le scritte in arabo, il mihrab (la nicchia orientata verso La Mecca), il minbar (il pulpito musulmano) e i mosaici bizantini che raffigurano Cristo Pantocratore o San Giovanni. Effetto straniante, se si pensa che in una moschea non ci sono icone, e se si pensa al fatto che ad un certo punto della conquista ottomana è scattata l'iconoclastia. Istanbul è anche questo: è romana-bizantina ed è ottomana e turca. E' uno dei suoi punti di forza.

Terza tappa Yerebatan Sarnici, la cisterna-basilica: nel buio filtra una luce fioca, si riflette nell'acqua e passa attraverso le tante colonne come a cercare una via di fuga, mentre pescioni rossi nuotano ignari in questa specie di sottobosco creato dall'ingegneria tardo-romana molto affascinante, da cui si fatica ad uscire per l'atmosfera rilassante.

Fuori, infatti, è vivo il caos dei turisti che sono in fila per entrare, o che scattano le foto all'obelisco di Teodosio, mentre venditori di tappeti o di guide cercano di accaparrare il cliente, e mentre uomini su carretto propongono pannocchie calde o castagne o ciambelle al sesamo o acqua... E' un caos tutto sommato familiare, ma nei momenti di stanchezza saprò trovare degli angoli dove rifugiarmi.
ARoma d'Oriente (1)

Era una meta che sognavo da tempo, un viaggio che per almeno un paio d'anni ho rimandato. Nei progetti ci andavo in compagnia, nella realtà sono arrivato da solo: non ne potevo più di rimandare. La meta è Istanbul, questa volta. Prenoto l'aereo con largo anticipo, molto più di quanto non sia abituato. Per questo mi beccherò le polemiche famigliari di mia madre e mia sorella, sulla falsariga del ritornello "se succede qualcosa...?". Rispondo: "Se succede qualcosa, nel peggiore dei casi, ho perso i soldi del biglietto dell'aereo, ma di fronte a qualcosa di grave questo è il male minore".

E' così che il viaggio nasce sotto una stella di malumore: covavo delle ansie dovute al sogno cullato nel tempo e al ritornello "se succede qualcosa?" che a ridosso della partenza si è riproposto nella mia mente come i peperoni, grazie anche ad un inizio di raffreddore. Comunque, mi dicevo, pensiamo al meglio ed a goderci la vacanza.

Il mio amico Fabrizio mi fa un grande favore e mi accompagna all'aeroporto di Fiumicino. Grazie al check-in on line ho la carta d'imbarco già pronta e ho approntato il bagaglio in modo da poterlo portare in mano. Dovrebbe pesare attorno agli 8 kg, ma non sarà il peso il problema. Ai controlli mi fermano, parlandomi in inglese. Alla domanda "Do you speak English?" rispondo sicuro: "also Italian, if you want". Ogni viaggio ha le sue prime volte. In fase di partenza, era la prima volta che partivo con le lenti a contatto, e la prima volta della macchinetta reflex digitale.

Nel bagaglio c'era una borsetta con chiusura a velcro in cui c'erano la soluzione per le lenti, il portalenti e gli occhiali. I controlli hanno visto un contenitore di liquido e il vigilante, appurato che parlo italiano, me ne parla come se si trattasse di un bottiglione di shampoo. La prima cosa che mi viene in mente è il deodorante... Poi, parlando, mi viene in mente il liquido per le lenti. In effetti è una boccia da oltre 200ml, e nel bagaglio a mano il massimo consentito è 100. Però, siccome non lo sapevi, e siccome qualche volta si fa un'eccezione per le lenti... (il vigilante ci pensa)... anche stavolta facciamo l'eccezione. Per maggiore scrupolo il vigilante mi fa versare un po' di liquido sulla mano.

Sospiro di sollievo: evitata la spedizione del bagaglio, e avvertito per le prossime volte. Il volo d'andata è liscio e puntuale, ma chissà perché nella mia mente immagino che il volo di ritorno sarà più travagliato. In ogni caso si mangia benissimo dentro l'aereo della Turkish.

Finalmente arrivo a destinazione quando c'è ancora il sole. Prendo il taxi e pago in euro, quei pochi che ho portato da casa, ricevendo in resto 10 lire turche. Controllo il resto attraverso il convertitore configurato sul mio cellulare (altra prima volta). Il taxista mi lascia nei pressi della piazza di Sultanahmet e decido di raggiungere l'albergo a piedi, non è distante. Guardo la mappa e c'è già un ragazzo che si offre di accompagnarmi all'albergo. Rifiuto la gentile offerta, faccio capire che la strada la trovo da me.

In effetti il Serenity Hotel è davvero vicino, molto più di quanto pensassi. Mi danno una camera con vista su detersivi e lenzuola, ma poco importa. Passerò lì solo il tempo per dormire. E poi la camera è ben attrezzata e pulita: asciugamani incartati in un cellophane sigillato, phon da viaggio nel bagno, pulitissimo.

Poso il bagaglio, prendo la Canon e faccio subito il primo giro attorno a Sultanahmet, così vedo pure il primo tramonto. Faccio le prime foto alla Moschea Blu e mi si affaccia un altro venditore, ha delle guide in mano. Me ne porge una per farmela vedere. Ho la guida in mano. Insisto nel dire: "Non m'interessa" e cose del genere; per tutta risposta il ragazzo comincia ad abbassare il prezzo. Ad un certo punto gli dico che ho solo lire turche in tasca. Finirà che ci accorderemo per 10 YTL (Lire turche) e tornerò a casa con la guida.

Successivamente scendo alla stazione e cambio gli ultimi euro che sono rimasti in tasca. Ora ho davvero solo YTL in tasca. Ma domani farò sicuramente un prelievo. Gli sportelli automatici sono molti: ci sono addiruttura dei "chioschi" che ospitano quattro o più sportelli uno a fianco all'altro. Istanbul è pur sempre una metropoli da 12 e più milioni d'abitanti.

lunedì, maggio 24, 2010

Volare nel deserto /8


Il momento culminante del viaggio è ormai passato, e la stanchezza si fa sentire per tutti. Aggiungiamo a questo il lungo spostamento, che vedrà come tappa finale Marrakech. Le tappe principali di oggi sono Ouarzazate e Ait Benhaddou. Quest'ultimo sito è un vero spettacolo, poco distante dalla Hollywood del deserto. E' incastrata su una collina e quasi nascosta. Non poteva mancare, come a Volubilis, un nido di cicogna su una delle torri.

Il posto è ben tenuto e davvero vale la pena di vederlo e sostare, non senza prima aver fatto almeno una decina di fotografie. In breve si riprende il viaggio. Passando per l'Alto Atlante ci fermiamo altre due volte, dentro il bus ci sorprende un temporale e riusciamo anche a vedere l'arcobaleno, oltre alla neve sulle cime più alte. La strada è molto tortuosa e riocomincia lo sballottamento, con l'ennesima arancia che va a svegliare una sonnolenta Fruttolo.

Nei tratti non duri del percorso quasi tutti sonnecchiano, c'è un silenzio quasi surreale, interrotto dalle soste o dalla sorpresa per il cambio di panorama.

La sera arrivamo a Marrakech, e alla piazza Jamaa el Fna è come giocare a rugby. Hanno già montato le bancarelle dove si può mangiare e mangeremo in una di quelle, ma tutti ti braccano, ed è difficilissimo riuscire a muovere un passo senza essere fermati, a volte da due persone. Il compito è ancora più difficile ed ingrato per il coordinatore. La piazza è popolata anche di "artisti di strada", incantatori di serpenti, personaggi buffi che suonano con un gallo vivo in testa, etcetera.

Marrakech è caotica, sfrecciano motorini nei vicoletti, rischiando di travolgere i passanti. Vanno e vengono facchini con i carretti a portare i bagagli nei riad. Il giorno dopo rimaniamo in questa città per vederla con una luce diversa. Siamo liberi di girare, anche perché l'indomani l'aeroporto di Casablanca ci attende la mattina presto.

E' così che si va in ordine sparso: chi perdendosi nel suk alla ricerca delle ultime chincaglierie da riportare a casa, chi a vedere i siti interessanti della città. Io ed una buona parte del gruppo decidiamo di seguire il coordinatore, verso le concerie che si trovano piuttosto distanti dal centro. Un berbero ci guida fino a lì, ma poi quando usciamo ci perdiamo altre due/tre volte, non senza farci scappare un'estemporanea partita di calcio sullo stile di Marrakech Express.

Il viaggio finisce con il tramonto sulla piazza Jamaa el Fna, vista da una terrazza: il posto da dove si può godere la vista migliore, senza essere disturbati dal caos. Si vede la piazza che cambia di luce e colore, e quasi quasi anche questo posto che finora non ho apprezzato molto diventa affascinante. Certo, peccato che non riesca a vedere la moschea di Hassan II a Casablanca, ma è andata così e va benissimo. Le immagini rimaste nella mente sono tantissime, ed è avvenuto tutto in poco tempo.

In aereo, vista anche la levataccia, sarà un continuo susseguirsi di dormiveglia, interrotto solo dalla colazione. La malinconia di fine viaggio lascerà presto spazio ai ricordi, mentre sul taccuino resterà solo l'inchiostro del primo giorno. Ogni ricostruzione non può che essere parziale, ed è così che solo più tardi, rimettendo in ordine i pensieri, le immagini e gli odori, ricomincio a volare cercando di tradurre le immagini e le sensazioni in parole. (fine)

domenica, maggio 23, 2010

Volare nel deserto /7

La giornata nel deserto è stata molto intensa: il sole che cala, il tramonto, il pasto, la luna piena, il cibo, le danze, i canti. E alla fine la notte nelle tende berbere. Come spesso avviene sono il primo ad alzarmi, per esigenze fisiologiche. La seconda volta che mi alzo sta per spuntare l'alba. Graziano ed il Mauri, fuori dalla tenda si accorgono che mi sto vestendo. A loro indico senza parlare il cielo che si sta schiarendo. Due minuti e tutti e tre siamo pronti per assistere ad un altro spettacolo emozionante, l'alba nel deserto. Con il passare dei minuti si alzano tutti, ma io Graziano e Maurizio abbiamo visto davvero tutte le fasi...

Pochi minuti dopo che il sole si è alzato è già ora di salire sul dromedario, lo stesso che il giorno prima era svogliato. Io sono sensibilmente più rilassato, e anche il dromedario mi sembra più tranquillo. Quasi quasi faccio amicizia e lo saluto per un prossimo incontro. La carovana scorre liscia e durante il trasporto mi arriva un altro sms.

A Merzouga recuperiamo e rassettiamo rapidamente i bagagli. Ripreso il bus visitiamo la kasbah-museo di Moulay Idriss con Joussef e poi ci fermiamo per un pasto, giusto il tempo di beccare una (per fortuna brevissima) tempesta di sabbia. Ripongo in fretta la mia macchinetta fotografica.

Ricomincia il viaggio in bus con i suoi riti, la stanchezza che comincia a farsi sentire, le bottiglie e le arance che sembrano essersi prese un attimo di pausa. Arriviamo così alle Gole del Todrà dove rimarremo poco più di dieci minuti. Sarebbero un luogo molto bello se non fosse infestato dal turismo. Oltre ad alberghi e ristoranti quasi ad ogni passo, stanno cementando la strada che passa sotto gli speroni, e a destra e a sinistra venditori di tappeti e di ogni chincaglieria possibile. Di comune accordo, visto anche l'affollamento, decidiamo che non vale la pena soffermarsi su questo posto, che un tempo doveva essere mozzafiato.

Ci avviamo così verso le gole del Dades dove pernotteremo. Un altro posto incredibile, roba da Arizona o Colorado. Ci arriviamo una sera e appena entrati in albergo ci sarà un bel temporale. Davvero questo viaggio non ci sta risparmiando niente. Per il resto sono molto stanco, e comincio a sentire la malinconia per la fine del viaggio che si avvicina. Sarò tra i primi ad andare a dormire, e stavolta farò tutta una tirata fino all'orario di appuntamento, le 7.30 della mattina successiva. E' forse la prima ed unica notte che dormo per intero. (continua)